24.4.05

Dire male del Papa, ultimo sport d’America



Dire male del Papa, ultimo sport d’America

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ennio Caretto

WASHINGTON


- Philip Jenkins è docente di storia e di religione a Penn state,
l'università della Pennsylvania, ed è autore di libri che
innescano accesi dibattiti: tra di essi, Pedofili e preti e La
nuova cristianità
, di prossima pubblicazione in Italia. Ma con
la sua opera più recente, Il nuovo anticattolicesimo: l'ultimo
pregiudizio accettabile
, Jenkins ha suscitato una controversia
senza precedenti. In una minuziosa disanima dei media, della
politica e delle arti americani, lo storico, un inglese
episcopaliano, dimostra che la Chiesa cattolica in America è spesso
considerata «un nemico pubblico», e ridotta «a uno stereotipo
grossolano». E che a differenza di quelli contro il giudaismo o
l'islamismo, gli attacchi contro di essa sono quasi sempre approvati
o condonati. Nel Paese della libertà di religione, scrive Jenkins,
è lecito denigrare il cattolicesimo.

Come è nato questo libro?


«E' nato dalle ricerche per i miei libri
precedenti. Ho constatato che in America non c'è anticlericalismo
ma c'è anticattolicesimo. C'è sempre stato, dai primi immigrati
protestanti al movimento populista a quello razzista del Ku klux
klan. Non è questione di destra o di sinistra, si è manifestato
sia nell'una sia nell'altra a seconda dei tempi e delle circostanze».


Chi sono oggi gli anticattolici?



«Sono soprattutto gli intellettuali e i liberal.
Si dice addirittura che l'anticattolicesimo sia l'antisemitismo
dell'uomo colto. I demagoghi ce l'hanno con gli ebrei, gli uomini di
cultura con i cattolici. E' un paradosso perché la Chiesa cattolica
in America propugna le riforme sociali, il disarmo, la pace, cioè
molte delle loro cause».


C'è una spiegazione?


«Credo che sia la centralità dei problemi sessuali nella
società americana: il cattolicesimo è considerato antigay,
antifemminista, e così via. Nel libro io lo contesto, tanto che ho
intitolato polemicamente uno dei capitoli "La Chiesa odia le
donne" e un altro "La Chiesa uccide i gay". Ma le
accuse fanno presa sul pubblico».

Lo scandalo dei preti pedofili ha aggravato i
pregiudizi anticattolici?



«I pregiudizi lo hanno ingigantito. Il termine
preti pedofili è discriminatorio. Gli abusi sessuali nella Chiesa
cattolica non sono più frequenti che nelle altre chiese o tra gli
insegnanti delle scuole. Inoltre, di rado si tratta di pedofilia,
perché le vittime hanno raggiunto o superato la pubertà. Gli abusi
sono orrendi, sono crimini da punire e stroncare, non da
strumentalizzare».


L'anticattolicesimo ha influito sulle critiche
riguardo al rapporto fra Pio XII e il nazismo?



«A mio giudizio sì: è diventato un modo di
attaccare la Chiesa. Un esempio: la Chiesa si oppone all'uso di
certi contraccettivi per contenere l'aids. In reazione, i suoi
nemici accusano Giovanni Paolo II di comportarsi con l'Aids come Pio
XII con Hitler. Dicono testualmente: non fa nulla contro la versione
virale del Führer».


Non è un ritorno all'antipapismo?



«L'antipapismo è sempre parte
dell'anticattolicesimo. Il Papa a volte è una figura demoniaca per
la sinistra Usa. Io ricordo che anni fa si scoprì un complotto
islamico contro di lui e che i liberal se ne rallegrarono. Non è la
persona di Giovanni Paolo II, è l'istituto: il suo successore andrà
incontro alla stessa ostilità».


Lei parla di un nuovo anticattolicesimo: in
che senso è nuovo?



«Molti americani pensarono che
l'anticattolicesimo fosse finito con l'elezione del primo presidente
cattolico, John Kennedy. Si sbagliavano. E' stato rinfocolato da
problemi come l'aborto, dai dissensi interni della Chiesa e dal suo
ritardo nel combattere il pregiudizio. Solo l'anno scorso la chiesa
ha formato un gruppo per i diritti civili».

E' possibile che l'anticattolicesimo scompaia?



«E' difficile, come lo è che scompaia
l'antisemitismo. La differenza è che l'antisemita in America viene
subito denunciato e zittito. Temo che l'anticattolicesimo sia così
radicato da rappresentare l'opposto di ciò che l'America si
considera in un dato momento. L'America cambia spesso idea: se si
ritiene progressista, dipinge il cattolicesimo come conservatore, e
viceversa».


Ma l'America non si rende conto che il
cattolicesimo è una forza globale?



«In America conta solo ciò che è americano. La
chiesa cattolica è la più grande ma è una delle tante chiese del
Paese, ed è oberata da stereotipi tipo "Inquisizione".
Non scordiamo che tra i motivi della rivoluzione del 1776 ci fu la
tolleranza degli inglesi per i cattolici. Qui la religione viene
vissuta in modo combattivo se non settario. Persino la politica
assume connotati religiosi. E' molto diverso che in Europa».


Non è un pericolo per il principio della
separazione tra stato e chiesa?



«Può diventarlo. Attualmente è un fattore che
pesa sugli affari internazionali. Gli americani vedono la Palestina
meno favorevolmente degli europei, perché prendono la Bibbia molto
sul serio, si sentono vicini a Israele. Gli europei giudicano il
presidente Bush un fanatico religioso ma gli americani si
identificano in lui. Rispettano Joe Lieberman, un candidato
democratico alla Casa Bianca, perché è rigido nelle sue
convinzioni di ebreo ortodosso».


Ne «La nuova cristianità», lei ha scritto
che essa troverà un terreno più fertile negli Usa che in Europa,
perché?



«L'immigrazione in Europa sarà soprattutto
musulmana, in America soprattutto latino americana e asiatica.
L'aspetto del cattolicesimo americano muterà: sarà più etnico. E
uno dei cambiamenti maggiori riguarderà la Vergine: adesso in
America la sua figura è secondaria, ma diverrà centrale».


© Corriere della sera - 27 Maggio 2003

Fonte: http://www.kattoliko.it/leggendanera/chiesa/caretto_jenkins.htm






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