30.3.08

Iceberg

Iceberg

Sulla newsletter n. 66 dell’agenzia SviPop, a
proposito dell’iceberg staccatosi dall’Antartide in questi giorni e riportato
con enfasi in tutti i media come effetto del «riscaldamento globale», Riccardo
Cascioli ha scritto: «Problema: se un iceberg alla deriva è lungo 41 km e largo 2,4
km, quale sarà la sua
superficie?». Risposta (da elementari): 98,4 km. Bene. Allora perché «tutti i giornali»
hanno parlato di 405 kmq? Risposta: «Tanti giornalisti, dimentichi delle regole
base del mestiere, non verificano più le notizie.

Così
basta che il primo traduca male dall’inglese una notizia e tutti ripetono
l’errore all’infinito. In effetti, nella notizia originale che arriva
dall’University of Colorado's National Snow
and Ice Data Center, i 405 kmq non si riferiscono alla superficie dell’iceberg ma
alla superficie totale del Wilkins Ice Shelf disintegratasi come conseguenza del
distacco dell’iceberg». Ora, se i
giornali hanno riportato tutti i numeri menzionati qui sopra, vuol dire che non
ci si è presi neanche la briga di verificare la moltiplicazione 41 x 2,4.

E
che, anche, ormai «la stragrande maggioranza dei lettori beve tutto quello che
legge e vede, senza neanche più porsi delle domande». Ma c’è di più. In
Antartide si è alla fine dell’estate e la formazione di iceberg è normale (nel
2000 se ne staccò uno di 11mila kmq; nel 1956 addirittura uno di 31mila).

Gli
iceberg si formano quando il ghiaccio è in aumento, non il contrario. Cascioli:
«Già, ma allora bisognerebbe anche ammettere che l’iceberg con il riscaldamento
globale non c’entra niente. E allora addio soldi a chi – scienziati,
giornalisti e politici - sugli allarmismi ci campa». Un’ultima cosa (che
devo alla stessa agenzia) se il c.d. riscaldamento globale è un allarme del
Terzo Millennio, cosa ci faceva nel 1912 al largo di New York (che è alla
stessa latitudine di Napoli) l’iceberg che nel 1912 affondò il Titanic?

27.3.08

MAGDI CRISTIANO ALLAM: ECCO PERCHE' SONO DIVENTATO CATTOLICO

MAGDI CRISTIANO ALLAM: ECCO PERCHE' SONO DIVENTATO CATTOLICO
25-3-2008

La notte di Pasqua ci ha regalato una piacevolissima sorpresa, ovvero il battesimo in San Pietro del noto giornalista di origine egiziana Magdi Allam, che ha preso il nome di Cristiano. Una decisione che lo stesso Magdi Cristiano Allam ha voluto spiegare ai lettori del Corriere della Sera, di cui è vice direttore, con la lettera che qui riportiamo e in cui spiega che si tratta della vittoria dell'amore sull'odio.



Caro Direttore, ciò che ti sto per riferire concerne una mia scelta di fede religiosa e di vita personale che non vuole in alcun modo coinvolgere il Corriere della Sera di cui mi onoro di far parte dal 2003 con la qualifica di vice-direttore ad personam. Ti scrivo pertanto da protagonista della vicenda come privato cittadino. Ieri sera mi sono convertito alla religione cristiana cattolica, rinunciando alla mia precedente fede islamica. Ha così finalmente visto la luce, per grazia divina, il frutto sano e maturo di una lunga gestazione vissuta nella sofferenza e nella gioia, tra la profonda e intima riflessione e la consapevole e manifesta esternazione. Sono particolarmente grato a Sua Santità il Papa Benedetto XVI che mi ha impartito i sacramenti dell’iniziazione cristiana, Battesimo, Cresima ed Eucarestia, nella Basilica di San Pietro nel corso della solenne celebrazione della Veglia Pasquale. E ho assunto il nome cristiano più semplice ed esplicito: «Cristiano».

Da ieri dunque mi chiamo «Magdi Cristiano Allam». Per me è il giorno più bello della vita. Acquisire il dono della fede cristiana nella ricorrenza della Risurrezione di Cristo per mano del Santo Padre è, per un credente, un privilegio ineguagliabile e un bene inestimabile. A quasi 56 anni, nel mio piccolo, è un fatto storico, eccezionale e indimenticabile, che segna una svolta radicale e definitiva rispetto al passato. Il miracolo della Risurrezione di Cristo si è riverberato sulla mia anima liberandola dalle tenebre di una predicazione dove l’odio e l’intolleranza nei confronti del «diverso», condannato acriticamente quale «nemico», primeggiano sull’amore e il rispetto del «prossimo » che è sempre e comunque «persona»; così come la mia mente si è affrancata dall’oscurantismo di un’ideologia che legittima la menzogna e la dissimulazione, la morte violenta che induce all’omicidio e al suicidio, la cieca sottomissione e la tirannia, permettendomi di aderire all’autentica religione della Verità, della Vita e della Libertà. Nella mia prima Pasqua da cristiano io non ho scoperto solo Gesù, ho scoperto per la prima volta il vero e unico Dio, che è il Dio della Fede e Ragione.

Il punto d’approdo
La mia conversione al cattolicesimo è il punto d’approdo di una graduale e profonda meditazione interiore a cui non avrei potuto sottrarmi, visto che da cinque anni sono costretto a una vita blindata, con la vigilanza fissa a casa e la scorta dei carabinieri a ogni mio spostamento, a causa delle minacce e delle condanne a morte inflittemi dagli estremisti e dai terroristi islamici, sia quelli residenti in Italia sia quelli attivi all’estero. Ho dovuto interrogarmi sull’atteggiamento di coloro che hanno pubblicamente emesso delle fatwe, dei responsi giuridici islamici, denunciandomi, io che ero musulmano, come «nemico dell’islam», «ipocrita perché è un cristiano copto che finge di essere musulmano per danneggiare l’islam», «bugiardo e diffamatore dell’islam », legittimando in tal modo la mia condanna a morte. Mi sono chiesto come fosse possibile che chi, come me, si è battuto convintamente e strenuamente per un «islam moderato », assumendosi la responsabilità di esporsi in prima persona nella denuncia dell’estremismo e del terrorismo islamico, sia finito poi per essere condannato a morte nel nome dell’islam e sulla base di una legittimazione coranica. Ho così dovuto prendere atto che, al di là della contingenza che registra il sopravvento del fenomeno degli estremisti e del terrorismo islamico a livello mondiale, la radice del male è insita in un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale.

Parallelamente la Provvidenza mi ha fatto incontrare delle persone cattoliche praticanti di buona volontà che, in virtù della loro testimonianza e della loro amicizia, sono diventate man mano un punto di riferimento sul piano della certezza della verità e della solidità dei valori. A cominciare da tanti amici di Comunione e Liberazione con in testa don Juliàn Carròn; a religiosi semplici quali don Gabriele Mangiarotti, suor Maria Gloria Riva, don Carlo Maurizi e padre Yohannis Lahzi Gaid; alla riscoperta dei salesiani grazie a don Angelo Tengattini e don Maurizio Verlezza culminata in una rinnovata amicizia con il Rettore maggiore Don Pascual Chavez Villanueva; fino all’abbraccio di alti prelati di grande umanità quali il cardinale Tarcisio Bertone, monsignor Luigi Negri, Giancarlo Vecerrica, Gino Romanazzi e, soprattutto, monsignor Rino Fisichella che mi ha personalmente seguito nel percorso spirituale di accettazione della fede cristiana. Ma indubbiamente l’incontro più straordinario e significativo nella decisione di convertirmi è stato quello con il Papa Benedetto XVI, che ho ammirato e difeso da musulmano per la sua maestria nel porre il legame indissolubile tra fede e ragione come fondamento dell’autentica religione e della civiltà umana, e a cui aderisco pienamente da cristiano per ispirarmi di nuova luce nel compimento della missione che Dio mi ha riservato.

La scelta e le minacce
Caro Direttore, mi hai chiesto se io non tema per la mia vita, nella consapevolezza che la conversione al cristianesimo mi procurerà certamente un’ennesima, e ben più grave, condanna a morte per apostasia. Hai perfettamente ragione. So a cosa vado incontro ma affronterò la mia sorte a testa alta, con la schiena dritta e con la solidità interiore di chi ha la certezza della propria fede. E lo sarò ancor di più dopo il gesto storico e coraggioso del Papa che, sin dal primo istante in cui è venuto a conoscenza del mio desiderio, ha subito accettato di impartirmi di persona i sacramenti d’iniziazione al cristianesimo. Sua Santità ha lanciato un messaggio esplicito e rivoluzionario a una Chiesa che finora è stata fin troppo prudente nella conversione dei musulmani, astenendosi dal fare proselitismo nei Paesi a maggioranza islamica e tacendo sulla realtà dei convertiti nei Paesi cristiani. Per paura. La paura di non poter tutelare i convertiti di fronte alla loro condanna a morte per apostasia e la paura delle rappresaglie nei confronti dei cristiani residenti nei Paesi islamici. Ebbene oggi Benedetto XVI, con la sua testimonianza, ci dice che bisogna vincere la paura e non avere alcun timore nell’affermare la verità di Gesù anche con i musulmani.

Basta con la violenza
Dal canto mio dico che è ora di porre fine all’arbitrio e alla violenza dei musulmani che non rispettano la libertà di scelta religiosa. In Italia ci sono migliaia di convertiti all’islam che vivono serenamente la loro nuova fede. Ma ci sono anche migliaia di musulmani convertiti al cristianesimo che sono costretti a celare la loro nuova fede per paura di essere assassinati dagli estremisti islamici che si annidano tra noi. Per uno di quei «casi» che evocano la mano discreta del Signore, il mio primo articolo scritto sul Corriere il 3 settembre 2003 si intitolava «Le nuove catacombe degli islamici convertiti». Era un’inchiesta su alcuni neo-cristiani che in Italia denunciavano la loro profonda solitudine spirituale ed umana, di fronte alla latitanza delle istituzioni dello Stato che non tutelano la loro sicurezza e al silenzio della stessa Chiesa. Ebbene mi auguro che dal gesto storico del Papa e dalla mia testimonianza traggano il convincimento che è arrivato il momento di uscire dalle tenebre dalle catacombe e di affermare pubblicamente la loro volontà di essere pienamente se stessi. Se non saremo in grado qui in Italia, nella culla del cattolicesimo, a casa nostra, di garantire a tutti la piena libertà religiosa, come potremmo mai essere credibili quando denunciamo la violazione di tale libertà altrove nel mondo? Prego Dio affinché questa Pasqua speciale doni la risurrezione dello spirito a tutti i fedeli in Cristo che sono stati finora soggiogati dalla paura.

Magdi Allam
23 marzo 2008

Fonte: Il Timone

4.2.08

Cartão de Visita




Um senhor de 70 anos viajava de trem, tendo ao seu lado um jovem universitário que lia o seu livro de ciências. O senhor, por sua vez, lia um livro de capa preta. Foi quando o jovem percebeu que se tratava da Bíblia e estava aberta no livro de Marcos. Sem muita cerimônia, o jovem interrompeu a leitura do velho e perguntou:

- O senhor ainda acredita neste livro cheio de fábulas e crendices?

- Sim, mas não é um livro de crendices. É a palavra de Deus. Estou errado?

- Mas é claro que está! Creio que o senhor deveria estudar a História Universal. Veria que a Revolução Francesa, ocorrida há mais de 100 anos, mostrou a miopia da religião. Somente pessoas sem cultura ainda crêem que Deus tenha criado o mundo em seis dias. O senhor deveria conhecer um pouco mais sobre o que nossos cientistas pensam e dizem sobre tudo isso.

- É mesmo? E o que pensam e dizem os nossos cientistas sobre a Bíblia?

- Bem, respondeu o universitário, como vou descer na próxima estação, falta-me tempo agora, mas deixe o seu cartão que eu lhe enviarei o material pelo correio com urgência.

O velho então, cuidadosamente, abriu o bolso interno do paletó e deu o seu cartão ao universitário.

Quando o jovem leu o que estava escrito, saiu cabisbaixo, sentindo-se pior que uma ameba. No cartão estava escrito:

Professor Doutor Louis Pasteur,
Diretor Geral do Instituo de Pesquisas Científicas da Universidade Nacional da França.

"Um pouco de ciência nos afasta de Deus. Muito, nos aproxima". Louis Pasteur

(Fato verdadeiro, ocorrido em 1892, integrante da biografia de Pasteur).

Fonte: O Lutador, 21 a 31 de janeiro de 2008

2.9.07

Bergman e le silentio de Deo - In Interlingua


Bergman e le silentio de Deo

30 de julio 2007. Morreva Ingmar Bergman, un del plus grande cineastas del historia del Septime Arte. Ille ha nascite in un família lutheran e su pelliculas non occulta le sete plus profundo del corde human, con su personages involvite in un climate de angustia existential, ubi le solitude e le morte son themas permanente.

Le Radio Vatican ha realtiate su capacitate de “toccar in themas fundamental del vita e del societate”, ultra definir le director svede como “crepuscular, seductor, lyric e implacabile, immergite, proque educate, in le concepto de peccato e culpa, perdono e gratia: religiose de su maniera”.

Secundo Goffredo Fofi (Avvenire, 31/07/07), Bergman ha introducite in le cine le inquietudes existential e religiose que poterea semblar “exotic” in nostre contexto, pois illos esserea proprie de un minoritate, sed nos ha inseniate a vider le societate con un reguardo plus complexe, plus reflexive, ancora que plus dolorose que le nostre reguardo routinari, in un mixtura de traditiones protestante e de traditiones catholic.

Secundo le theologo italian Gianfranco Ravasi, in le incontro inter le Cavallero Antonius Block e le Morte in le pellicula Det sjunde inseglet (“Le Septime Sigillo”), Bergman assume le postura de un “theologo agnostic” que usa le imagine pro facer inegabile le destino del homine e su itinerario ultra le historia.

In un societate superficial, in profundo crise de fide e que cerca se narcotisar pro poter dormir, le pelliculas de Bergman causa insomnia.

Adaptate de Bergman e o silêncio de Deus – Carlos Scheid – O Lutador (1-10/09/07)

Visite: ecclesIA - Acctualitates del Ecclesia Catholic in Interlingua

12.8.07

Summorum Pontificum


Motu proprio no es nostalgia de museo sino celo pastoral y búsqueda de comunión, dice Arzobispo chileno

SANTIAGO, 18 Jul. 07 / 06:52 am (ACI).- El Arzobispo de Concepción (Chile), Mons. Ricardo Ezzati, señaló que la motivación de fondo del Motu Propio Summorum Pontificum de Benedicto XVI que liberaliza el Misal de 1962 aprobado por el entonces Papa Juan XXIII no es una "nostalgia de museo" de tipo arqueológico litúrgico sino un auténtico celo pastoral que busca la comunión en la Iglesia.

"No se trata de una nostalgia casi de museo, de tipo arqueológico litúrgico. Aquí se trata de una intencionalidad auténticamente pastoral y si hay motivaciones de ese tipo y de personas que conocen el latín y pueden participar fructuosamente de la celebración de la eucaristía, por qué no darles la posibilidad", señaló el Prelado en una entrevista al diario El Sur de la ciudad de Concepción.

Al reflexionar sobre las motivaciones de fondo del documento pontificio, el Arzobispo señaló que éste debe entenderse como "la apertura de la Iglesia Católica hacia grupos más tradicionalistas que habían estado separados de ésta" y subrayó que "acá, la gran finalidad del Papa es la comunión".

Asimismo, Mons. Ezzati pidió no interpretar este documento como la vuelta de las misas en latín, porque eso sería quedarse sólo en lo lingüístico. En este sentido aclaró que la Eucaristía, según el Misal de uso común antes de la reforma litúrgica, se realiza en esa lengua, pero implica además una estructura distinta de la contemplada en el Misal aprobado por Pablo VI.

Mons. Ezzati precisó que la Misa en latín según el Misal de Pío V, reformado por Juan XXIII en 1962 nunca fue jurídicamente suspendida y siempre estuvo permitida tras el Concilio Vaticano II. Sin embargo, hasta ahora se necesitaba la autorización expresa del obispo para utilizarlo en una ceremonia.

Por último, el Arzobispo señaló que Benedicto XVI, al promulgar su documento, hizo hincapié en que el retorno a usos tradicionales no implicaba ningún desmedro a lo resuelto en el Concilio Vaticano II ni de "una de sus reformas esenciales, la reforma litúrgica", y que el uso de la lengua vernácula en la Misa, en nuestro caso el español, seguía siendo "lo normal", y el latín, "lo extraordinario".

Fonte: www.aciprensa.com

24.6.07

Doctor, mi hijo tiene un síntoma gravísimo: he descubierto que va a Misa

Doctor, mi hijo tiene un síntoma gravísimo: he descubierto que va a Misa
Vittorio Messori

Vittorio Messori, periodista italiano de 56 años, es conocido internacionalmente por haber entrevistado a Juan Pablo II en Cruzando el umbral de la esperanza, y al Cardenal Ratzinger en Informe sobre la fe. Pero, en contra de lo que pudiera pensarse, no ha sido precisamente un "católico de toda la vida".
"Nací en plena Guerra Mundial en la región quizá más anticlerical de Europa: en la Emilia, zona del antiguo Estado pontificio, la del don Camilo y Peppone (el cura de pueblo y el alcalde comunista) de Guareschi. Mis padres no estaban precisamente de parte de don Camilo y, aunque vivían de verdad unos valores -apertura, acogida, generosidad, etc-, desde pequeño me inculcaron la aversión, no al Evangelio o al cristianismo, sino al clero, a la Iglesia institucional. Me bautizaron como si fuera una especie de rito supersticioso, sociológico, pero después no tuve ningún contacto con la Iglesia.
Acabada la Guerra, mis padres se trasladaron a Turín, la mayor ciudad industrial italiana, cuna del marxismo italiano -de Gramsci, Togliatti y otros dirigentes comunistas-, en la que los católicos hace tiempo que son minoría. Asistí allí a un colegio público, donde no se hablaba de religión más que para inculcarnos el desprecio teórico hacia ella. Obligada por el Concordato había, sí, una clase semanal de enseñanza religiosa, pero casi ninguno la tomaba en serio y yo, en concreto, eludía la asistencia con las más variadas excusas. O sea, que si por mi familia estaba imbuido de anticlericalismo pasional, la escuela llovió sobre mojado al enseñarme la cultura del iluminismo, del liberal-marxismo".
Acabado el bachillerato, eligió como carrera universitaria la de Ciencias Políticas. Pertenecía a la famosa generación del 68 y convirtió la política en su pasión. "Decía el teólogo protestante Karl Barth que «cuando el cielo se vacía de Dios, la tierra se llena de ídolos». Para mí el cielo estaba vacío, y uno de los ídolos que llenaba la tierra era precisamente la política. Era para mí una auténtica pasión. Estaba muy comprometido con los partidos de izquierda".
Se da cuenta con el tiempo de que la política no podía proporcionarle las respuestas sobre el sentido de la vida. "Sin embargo, aun consciente de esas carencias de la política, a la vez estaba convencido de que no podría encontrar respuestas fuera de ella, precisamente porque formaba parte de los que rechazaban el cristianismo sin tomarse la molestia de conocerlo. Pensaba que cualquier dimensión religiosa pertenecía a un mundo pasado, al que un joven moderno como yo no podía tomar en serio. (...) El Evangelio era para mí un objeto desconocido: nunca lo había abierto, pese a tenerlo en mi biblioteca, porque pensaba sin más que formaba parte del folklore oriental, del mito, de la leyenda.
Pero un día sucedió... Llegamos a un punto en que me es difícil hablar... por pudor. André Frossard, colega y amigo mío, entró un día en una iglesia católica en Francia y de la misma salió convertido. Mi proceso no es tan clamoroso. Pero un tipo semejante de experiencia mística, no tan inmediata sino diluida en el arco de dos meses, también la he vivido yo. Mi hallazgo de la fe fue muy protestante. Fue un encuentro directo con la misteriosa figura de Jesús, a través de las palabras griegas del Nuevo Testamento. No vi luces, ni oí cantos de ángeles. Pero la lectura de aquel texto, hecha probablemente en un momento psicológico particular, fue algo que todavía hoy me tiene aturdido. Cambió mi vida, obligándome a darme cuenta de que allí había un misterio, al que valía la pena dedicar la vida.
La situación que se creó fue todo un drama para mí. De inmediato me vino un gran consuelo, una gran alegría, pero a la vez un miedo terrible, por varios motivos. Por una parte, me di cuenta de que mi vida debía cambiar, sobre todo en la orientación intelectual. (...) Me hacía sufrir especialmente el que, si mi familia se enteraba de lo que me sucedía, me echasen de casa. De hecho, cuando mi madre supo que asistía a Misa a escondidas, telefoneó al médico y le dijo: «Venga, doctor. Mi hijo padece una fuerte depresión nerviosa». «¿Qué síntomas tiene?», preguntó el médico. Y mi madre le contestó: «Un síntoma gravísimo: he descubierto que va a Misa». Esto da idea del clima que se vivía en mi familia y de lo mucho que podía afectarme.
Otro ingrediente del drama era una especie de choque entre dos posturas que yo entendía como contrapuestas. Por un lado, algo me hacía ver que en el Evangelio estaba aquella verdad que había buscado. Se trataba de una experiencia del Evangelio como "encuentro", no sólo como palabra, valor, moral o ética. Para mí, el Evangelio no es un libro, sino una Persona. Era la experiencia de un encuentro fulgurante, consolador y, a la vez, inquietante. Inquietante también porque entonces yo me sentí como aquejado por una especie de "esquizofrenia". Se trataba de la disociación entre la intuición que me había hecho entender que allí, en el Evangelio, estaba la verdad, y mi razón, que me decía: No, es imposible, te equivocas.
Desde entonces, todo lo que he hecho y los muchos miles de páginas que he escrito, en el fondo no obedecen más que al intento de vencer esa esquizofrenia, procurando dar respuesta a esta pregunta: ¿Se puede creer, se puede tomar en serio la fe, puede un hombre de hoy apostar por el Evangelio? Todo ha girado en torno a la fe, a la posibilidad misma de creer.
Ha sido una aventura solitaria -siempre he sido un individualista-, en la que me guió Pascal: un hombre de hace 300 años, también laico convertido, que razonaba como yo, que no quería renunciar a la razón y que, antes de rendirse a la fe, deseaba agotar todas las posibilidades. Él me ayudó a descubrir esa nueva Atlántida personal. He hablado de aventura solitaria y de mi individualismo, pero también digo siempre que no soy un "católico del disenso". Al contrario, soy un "católico del consenso". Y es que, en la lógica de la Encarnación, no sólo juzgo legítimo al Vaticano, a la Iglesia institucional, sino que la considero necesaria, indispensable.
¿Cuándo decidí aceptar la Iglesia? Cuando, al reflexionar sobre el Evangelio para intentar conocer mejor el mensaje de Jesús, me di cuenta de que el Dios de Jesús es un Dios que quiso necesitar a los hombres, que no quiso hacerlo todo solo, sino que quiso confiar su mensaje y los signos de su gracia -los sacramentos- a una comunidad humana. Es decir, si uno reflexiona bien, acepta la Iglesia no porque la ame, sino porque forma parte del proyecto de Dios. Me ha costado muchos años, pero ahora estoy convencido de que sin la mediación de un grupo humano, en el fondo no tomaríamos en serio la mediación de Jesús.
Mi aventura también ha sido solitaria porque era uno de los pocos que andaba contracorriente. Entraba en la Iglesia cuando tantos clericales salían de ella gritando: ¡Qué maravilla, finalmente la tierra prometida! ¡Hemos descubierto la cultura laicista! Yo, asombrado, intentaba pararlos: ¿Qué hacéis? ¡La verdadera cultura está aquí dentro, en la Iglesia!
Por eso, algunos me han acusado de ser un reaccionario, un nostálgico. Es absurdo. Yo no he conocido la Iglesia preconciliar, no he escuchado jamás una Misa en latín, porque antes del Concilio nunca había asistido a Misa, y cuando comencé a ir, era ya en italiano. De ahí que no pueda ser un nostálgico. ¿De qué? No he tenido ni una infancia ni una juventud católica. Lo que sí he conocido de cerca es la cultura laicista. Y luego, un encuentro misterioso y fulgurante con el Evangelio, con una Persona, con Jesucristo; y, después, con la Iglesia".

fonte: http://www.fluvium.org/textos/lectura/lectura12.htm

29.3.07

Novo Documento do Papa

Eis o link para o novo documento de Sua Santidade, O Papa Bento XVI: http://www.veritatis.com.br/article/4179

1.11.06

Vídeo sobre Opus Dei - Rede Vida

"Especial sobre o Opus Dei - Encontrando a Deus no trabalho e na vida cotidiana

A Rede Vida de Televisão transmitiu um Programa Especial sobre o Opus Dei, com depoimentos de fiéis, amigos e Cooperadores da Prelazia. O objetivo do programa foi esclarecer e informar, uma vez mais, a natureza, a mensagem e os fins dessa instituição da Igreja Católica, através de depoimentos".


http://www.opusdei.org.br/art.php?p=19551

Discurso do Papa

"No recente episódio que envolveu uma preleção do Papa Ratzinger aos acadêmicos da Universidade de Regensburg, o Sumo Pontífice aparece como réu e o Islã como acusador. ORA, AO REAGIR COM VIOLÊNCIA A UMA SUPOSTA ACUSAÇÃO DE VIOLÊNCIA, OS FIÉIS DO ALCORÃO ACABARAM DANDO RAZÃO AO PONTO DE VISTA DE UM IMPERADOR MEDIEVAL. COMPORTARAM-SE CONFORME O FIGURINO QUE PRETENDIAM RECUSAR".

Fonte: O Lutador 11/2006 - Carlos Scheid

2.10.06

Discurso Polêmico de Bento XVI

O Papa Bento XVI fala aqui como filósofo que é e dá uma aula dirigida a intelectuais. Muitos do mundo muçulmano se manifestaram furiosos com sua citação de Manuel II, pensando que fossem palavras suas. Mais um exemplo do uso do texto fora de contexto (antes da existência de qualquer tradução ao árabe, quantos puderam ler no original em alemão?). Todavia há aqueles que condenam qualquer atitude do papa-filósofo. A velha história: "Estando quieto já está errado!"

Eis a Aula Magna que deveria ser estudada e refletida e não causar polêmica e protestos infundados. Há algumas falhas de pontuação e tradução (Acho que foi feito às pressas). Na tradução espanhola há um post-scriptum afirmando que é uma versão provisória, que o Santo Padre quer publicar uma versão com notas.

FONTE: Site do Vaticano

VIAGEM APOSTÓLICA DO PAPA BENTO XVI
A MÜNCHEN, ALTÖTTING E REGENSBURG
(9-14 DE SETEMBRO DE 2006)

DISCURSO DO SANTO PADRE
AOS REPRESENTANTES DO MUNDO CIENTÍFICO
E CULTURAL DA BAVIERA NA AULA MAGNA
DA UNIVERSIDADE DE REGENSBURG

Terça-feira, 12 de Setembro de 2006

"Fé, razão e universidade. Recordações e reflexões"

Eminências
Magnificências
Excelências
Ilustres Senhores
Gentis Senhoras

É para mim um momento emocionante encontrar-me de novo na universidade e poder mais uma vez pronunciar uma lição. Os meus pensamentos, contemporaneamente, voltam àqueles anos em que, depois de um grande período passado no Instituto superior de Freising, comecei a minha actividade de professor académico na universidade de Bonn. Era em 1959 ainda o tempo da velha universidade dos professores ordinários. Para cada uma das cátedras não existiam nem assistentes nem dactilógrafos, mas em compensação havia um contacto muito directo com os estudantes e sobretudo também entre os professores. Encontrávamo-nos antes e depois das lições nas salas dos professores. Os contactos com os historiadores, os filósofos, os filólogos e naturalmente também entre as duas faculdades teológicas eram muito estreitos. Uma vez por semestre fazia-se o chamado dies academicus, no qual professores de todas as faculdades se apresentavam diante dos estudantes de toda a universidade, tornando assim possível uma experiência de universitas uma coisa à qual também o Senhor, Magnífico Reitor, se referiu há pouco isto é, a experiência, o facto de que nós não obstante todas as especializações, que por vezes nos tornam incapazes de comunicar entre nós, formamos um todo e trabalhamos no todo da única razão com as suas várias dimensões, estando assim juntos também na responsabilidade comum pelo recto uso da razão este facto torna-se experiência viva.

Sem dúvida, a universidade era orgulhosa também das suas duas faculdades teológicas. Era claro que também elas, interrogando-se sobre a racionalidade da fé, desempenham uma obra que necessariamente faz parte do "todo" da universitas scientiarum, mesmo se nem todos podiam partilhar a fé, para cuja co-relação com a razão comum se comprometem os teólogos. Esta unidade interior no universo da razão não foi perturbada nem sequer quando certa vez filtrou a notícia de que um dos colegas dissera que na nossa universidade havia algo de anormal: duas faculdades que se ocupavam de uma coisa que não existia de Deus. Que mesmo perante um cepticismo tão radical seja necessário e normal interrogar-se sobre Deus através da razão e isto deva ser feito no contexto da tradição da fé cristã: no conjunto da universidade, isto era uma convicção fora de questão.

Tudo me voltou à mente, quando li a parte publicada pelo professor Theodore Khoury (Münster) do diálogo que o douto imperador bizantino Manuel II, Paleólogo, talvez durante os meses do Inverno de 1391 em Ankara, teve com um persa culto sobre cristianismo e islão e sobre a verdade de ambos. Talvez tenha sido depois o próprio imperador quem escreveu, durante o assédio de Constantinopla entre 1394 e 1402, este diálogo; explica-se assim por que os seus raciocínios sejam referidos de modo muito mais pormenorizado do que os do seu interlocutor persa. O diálogo alarga-se sobre todo o âmbito das estruturas da fé contidas na Bíblia e no Alcorão e detém-se sobretudo sobre a imagem de Deus e do homem, mas necessariamente também sempre de novo sobre a relação entre as como se dizia três "Leis" ou três "ordens de vida": Antigo Testamento, Novo Testamento, Alcorão. Não desejo falar disto nesta lição; gostaria de tratar só um assunto bastante marginal na estrutura de todo o diálogo que, no contexto do tema "fé e razão", me fascinou e me servirá como ponto de partida para as minhas reflexões sobre este tema.

No sétimo colóquio (διάλεξις, controvérsia) publicado pelo Prof. Khoury, o imperador enfrenta o tema da jihād, da guerra santa. Certamente o imperador sabia que na sua sura 2, 256 se lê: "Nenhuma coacção nas coisas de fé". É uma das suras do período inicial, dizem os peritos, em que o próprio Maomé ainda não tinha poder e estava ameaçado. Mas, naturalmente, o imperador conhecia também as disposições, desenvolvidas sucessivamente e fixadas no Alcorão, sobre a guerra santa.

Sem se deter em pormenores, como a diferença de tratamento entre os que possuem o "Livro" e os "incrédulos" ele, de modo tão brusco que nos surpreende, dirige-se ao seu interlocutor simplesmente com a pergunta central sobre a relação entre religião e violência em geral, dizendo: "Mostra-me também o que Maomé trouxe de novo, e encontrarás apenas coisas más e desumanas, como a sua ordem de difundir através da espada a fé que ele pregava".

O imperador, depois de se ter pronunciado de modo tão duro, explica minuciosamente as razões pelas quais a difusão da fé mediante a violência é irracional. A violência está em contraste com a natureza de Deus e a natureza da alma. "Deus não se apraz com o sangue diz ele não agir segundo a razão "σὺν λόγω", é contrário à natureza de Deus. A fé é fruto da alma, não do corpo. Por conseguinte, quem quiser levar alguém à fé precisa da capacidade de falar bem e de raciocinar correctamente, e não da violência e da ameaça... Para convencer uma alma racional não é necessário dispor nem do próprio braço, nem de instrumentos para ferir nem de qualquer outro meio com o qual se possa ameaçar de morte uma pessoa...".

A afirmação decisiva nesta argumentação contra a conversão mediante a violência é: não agir segundo a razão é contrário à natureza de Deus. O editor, Theodore Khoury, comenta: para o imperador, sendo um bizantino que cresceu na filosofia grega, esta afirmação é evidente. Para a doutrina muçulmana, ao contrário, Deus é absolutamente transcendente. A sua vontade não está relacionada com nenhuma das nossas categorias, mesmo que fosse a da racionalidade. Neste contexto Khoury cita uma obra do conhecido islamita francês R. Arnaldez, o qual ressalta que Ibn Hazm chega a declarar que Deus não estaria relacionado nem sequer com a sua própria palavra e que nada o obrigaria a revelar a nós a verdade. Se fosse a sua vontade, o homem deveria praticar também a idolatria.

A este ponto abre-se, na compreensão de Deus e por conseguinte na realização concreta da religião, um dilema que hoje nos desafia de maneira muito directa. A convicção de que agir contra a razão esteja em contradição com a natureza de Deus, é apenas um pensamento grego ou é sempre válido e por si mesmo? Penso que neste ponto se manifeste a profunda concordância entre o que é grego no sentido melhor e o que é fé em Deus sobre o fundamento da Bíblia. Modificando o primeiro versículo do Livro do Génesis, o primeiro versículo de toda a Sagrada Escritura, João iniciou o prólogo do seu Evangelho com as palavras: "No princípio era o λόγος". É precisamente esta a mesma palavra que o imperador usa: Deus age "σὺν λόγω", com logos. Logos significa ao mesmo tempo razão e palavra uma razão que é criadora e capaz precisamente de se comunicar mas como razão. Com isto João deu-nos a palavra conclusiva sobre o conceito bíblico de Deus, a palavra na qual todos os caminhos muitas vezes cansativos e sinuosos da fé bíblica alcançam a sua meta, encontram a sua síntese.

No princípio era o logos, e o logos é Deus, diz-nos o evangelista. O encontro entre a mensagem bíblica e o pensamento grego não era um simples caso. A visão de São Paulo, diante da qual se tinham fechado os caminhos da Ásia e que, em sonho, viu um Macedónio e ouviu a sua súplica: "Vem para a Macedónia e ajuda-nos" (cf. Act 16, 6-10) esta visão pode ser interpretada como uma "condensação" da necessidade intrínseca de uma aproximação entre fé bíblica e o interrogar-se grego.

Na realidade, esta aproximação já tinha sido iniciada desde há muito tempo. Já o nome misterioso de Deus na sarça ardente, que afasta este Deus do conjunto das divindades com numerosos nomes afirmando apenas o seu "Eu sou", o seu ser, é, em relação ao mito, uma contestação com a qual está em íntima analogia a tentativa de Sócrates de vencer e superar o próprio mito. O processo iniciado na sarça alcança, no Antigo Testamento, uma nova maturidade durante o exílio, onde o Deus de Israel, agora privado da Terra e do culto, se anuncia como o Deus do céu e da terra, apresentando-se com uma simples fórmula que prolonga a palavra da sarça: "Eu sou".

Com este novo conhecimento de Deus caminha em sintonia uma espécie de iluminismo, que se expressa de maneira drástica no escárnio das divindades que seriam apenas obra das mãos do homem (cf. Sl 115). Assim, não obstante toda a dureza do desacordo com os soberanos helenistas, que queriam obter com a força a adaptação ao estilo de vida grego e ao seu culto idolátrico, a fé bíblica, durante a época helenista, ia interiormente ao encontro da parte melhor do pensamento grego, até chegar a um contacto recíproco que depois se realizou especialmente na literatura sapiencial tardia.

Hoje nós sabemos que a tradução grega do Antigo Testamento, realizada em Alexandria a "Septuaginta" é mais que uma simples tradução (que talvez se deva avaliar de modo pouco positivo) do texto hebraico: de facto, é um testemunho textual distinto e um especifico e importante passo da história da Revelação, no qual se realizou este encontro de uma forma que para o nascimento do cristianismo e para a sua divulgação teve um significado decisivo. No fundo, trata-se do encontro entre fé e razão, entre autêntico iluminismo e religião. Partindo verdadeiramente da natureza íntima da fé cristã e, ao mesmo tempo, da natureza do pensamento grego já fundido com a fé, Manuel II podia dizer: Não agir "com o logos" é contrário à natureza de Deus.

Honestamente é preciso anotar a este ponto que, no final da Idade Média, se desenvolveram na teologia tendências que rompem esta síntese entre espírito grego e espírito cristão. Em contraste com o chamado intelectualismo agostiniano e tomista iniciou com Duns Scott uma orientação voluntária, a qual no fim, nos desenvolvimentos sucessivos, levou à afirmação de que nós de Deus só conheceremos a voluntas ordinata. Para além dela existiria a liberdade de Deus, em virtude da qual Ele teria podido criar e fazer também o contrário de tudo o que efectivamente fez.

Aqui vêem-se posições que, sem dúvida, se podem aproximar às de Ibn Hazm e poderiam conduzir até à imagem de um Deus-Arbítrio, que não está relacionado nem com a verdade nem com o bem. A transcendência e a diversidade de Deus são acentuadas de modo tão exagerado, que também a nossa razão, o nosso sentido do verdadeiro e do bem já não são um verdadeiro espelho de Deus, cujas possibilidades abismais permanecem para nós eternamente inalcançáveis e escondidas por detrás das suas decisões efectivas.

Em contraste com isto, a fé da Igreja sempre se ateve à convicção de que entre Deus e nós, entre o seu eterno Espírito criador e a nossa razão criada exista uma verdadeira analogia, na qual como disse o Concílio Lateranense IV em 1215 sem dúvida as diferenças são infinitamente maiores que as semelhanças, mas contudo não até ao ponto de abolir a analogia e a sua linguagem. Deus não é mais divino pelo facto de que o afastamos para longe de nós num voluntarismo puro e impenetrável, mas o Deus verdadeiramente divino é aquele Deus que se mostrou como logos e como logos agiu e age cheio de amor em nosso favor. Sem dúvida, o amor, como diz Paulo, "ultrapassa" o conhecimento e é por isto capaz de compreender mais do que o simples pensamento (cf. Ef 3, 19), contudo ele permanece o amor do Deus-Logos, para o qual o culto cristão é, como diz ainda Paulo "λογικη λατρεία" um culto que concorda com o Verbo eterno e com a nossa razão (cf. Rm 12, 1).

A aqui mencionada recíproca aproximação interior, que se teve entre a fé bíblica e o interrogar-se sobre o plano filosófico do pensamento grego, é um elemento de importância decisiva não só sob o ponto de vista da história das religiões, mas também sob o ponto de vista da história universal um elemento que nos compromete também hoje. Considerado este encontro, não surpreende que o cristianismo, apesar da sua origem e de alguns seus desenvolvimentos importantes no Oriente, tenha por fim encontrado a sua marca historicamente decisiva na Europa. Podemos expressar isto também inversamente: este encontro, ao qual se acrescenta sucessivamente ainda o património de Roma, criou a Europa e permanece o fundamento do que, com razão, se pode chamar Europa.

À tese que o património grego, criticamente purificado, seja uma parte integrante da fé cristã, opõe-se o requerimento da deselenização do cristianismo um requerimento que desde o início da idade moderna domina de modo crescente a pesquisa teológica. Visto mais de perto, podem-se observar três ondas no programa da deselenização: apesar de estarem relacionadas entre si, elas nas suas motivações e nos seus objectivos são claramente distintas uma da outra.

A deselenização emerge primeiro em ligação com os postulados da Reforma do século XVI. Considerando a tradição das escolas teológicas, os reformadores vêem-se diante de uma sistematização da fé condicionada totalmente pela filosofia, isto é, perante uma determinação da fé a partir de fora em virtude de um modo de pensar que não derivava dela. Assim a fé já não se apresentava como palavra histórica viva, mas como elemento inserido na estrutura de um sistema filosófico.

A sola Scriptura ao contrário procura a forma pura primordial da fé, do modo como está presente originariamente na Palavra bíblica. A metafísica aparece como um pressuposto derivante de outra fonte, da qual é necessário libertar a fé para a fazer voltar a ser totalmente ela mesma. Com a sua afirmação de ter que pôr de lado o pensar para dar espaço à fé, Kant agiu com base neste programa com uma radicalidade imprevisível para os reformadores. Com isto ele ancorou a fé exclusivamente à razão prática, negando-lhe o total acesso à realidade.

A teologia liberal dos séculos XIX e XX trouxe uma segunda onda no programa da deselenização: seu representante eminente é Adolf von Harnack. Durante o tempo dos meus estudos, como nos primeiros anos da minha actividade académica, este programa era fortemente operante também na teologia católica. Como ponto de partida era feita a distinção de Pascal entre o Deus dos filósofos e o Deus de Abraão, de Isaac e de Jacob. No meu discurso em Bonn, em 1959, procurei enfrentar este assunto e não pretendo retomar aqui todo o discurso. Mas gostaria de tentar ressaltar pelo menos em síntese a novidade que caracterizava esta segunda onda de deselenização em relação à primeira.

Como pensamento central sobressai, em Harnack, o regresso simplesmente ao homem Jesus e à sua mensagem simples, que viria antes de todas as teologizações e, precisamente, também antes das helenizações: seria esta mensagem simples que constituiria o verdadeiro ápice do desenvolvimento religioso da humanidade. Jesus teria dado um adeus ao culto em favor da moral. Em conclusão, Ele é representado como pai de uma mensagem moral humanitária.

A finalidade de Harnack no fundo é reconduzir o cristianismo em harmonia com a razão moderna, libertando-o, precisamente, de elementos aparentemente filosóficos e teológicos, como por exemplo a fé na divindade de Cristo e na trindade de Deus.

Neste sentido, a exegese histórico-crítica do Novo Testamento, na sua visão, coloca novamente a teologia no cosmos da universidade: teologia, para Harnack, é algo essencialmente histórico e, portanto, estrictamente científico. O que ela indaga sobre Jesus mediante a critica é, por assim dizer, expressão da razão prática e por conseguinte também sustentável no conjunto da universidade. Na base encontra-se a autolimitação moderna da razão, expressa de maneira clássica nas "críticas" de Kant, que entretanto foi ulteriormente radicalizada pelo pensamento das ciências naturais. Este conceito moderno da razão baseia-se, em síntese, num resumo entre platonismo (cartesianismo) e empirismo, que o sucesso técnico confirmou.

Por um lado pressupõe-se a estrutura matemática da matéria, a sua por assim dizer racionalidade intrínseca, que torna possível compreendê-la e usá-la na sua eficiência concreta: este pressuposto básico e, por assim dizer, o elemento platónico no conceito moderno da natureza. Por outro lado, trata-se da utilizabilidade funcional da natureza para as nossas finalidades, onde só a possibilidade de controlar verdade ou falsidade mediante a experiência fornece a certeza decisiva. O peso entre os dois pólos pode, segundo as circunstâncias, estar mais de uma ou mais da outra parte. Um pensador tão estreitamente positivista como J. Monod declarou-se platónico convicto.

Isto exige duas orientações fundamentais decisivas para a nossa questão. Só o tipo de certezas derivantes da sinergia de matemática e empírica nos permite falar de cientificidade. O que pretende ser ciência deve confrontar-se com este critério. E assim também as ciências que se referem às coisas humanas, como a história, a psicologia, a sociologia e a filosofia procuravam aproximar-se deste cânone da cientificidade. Contudo, é importante para as nossas reflexões o facto de que o método como tal exclui o problema Deus, apresentando-o como um problema acientífico ou pré-científico. Portanto, com isto encontramo-nos diante de uma redução do leque de ciência e razão que é obrigatório pôr em questão.

Voltarei ainda sobre este assunto. Neste momento é suficiente ter presente que, numa tentativa de conservar o carácter de disciplina "científica" da teologia à luz desta perspectiva, do cristianismo restaria apenas um miserável fragmento. Mas devemos dizer mais: se a ciência no seu conjunto é apenas isto, então é o próprio homem que, com isto, sofre uma redução. Mas as interrogações propriamente humanas, isto é, as do "de onde" e do "para onde", os questionamentos da religião e do ethos, não podem encontrar lugar no espaço da razão comum descrita pela "ciência" entendida deste modo e devem ser deslocados no âmbito do subjectivo. O sujeito decide, com base nas suas experiências, o que lhe parece religiosamente sustentável, e a "consciência" subjectiva torna-se portanto a única exigência ética.

Mas, desta forma o ethos e a religião perdem a força de criar uma comunidade e terminam no âmbito da discricionalidade pessoal. Esta é uma condição perigosa para a humanidade: verificamos isto nas patologias ameaçadoras da religião e da razão patologias que necessariamente devem manifestar-se, quando a razão é limitada a tal ponto que as questões da religião e do ethos já não lhe dizem respeito. O que permanece das tentativas de construir uma ética partindo das regras da evolução ou da psicologia e da sociologia, é simplesmente insuficiente.

Antes de chegar às conclusões que todo este raciocínio tem por finalidade, devo mencionar ainda em breve a terceira onda de deselenização que se difunde actualmente. Em consideração do encontro com a multiplicidade das culturas hoje há quem goste de dizer que a síntese com o helenismo, realizada na Igreja antiga, teria sido uma primeira inculturação, que não deveria vincular as outras culturas. Isto deveria ter o direito de retroceder até ao ponto que precedia aquela inculturação para descobrir a simples mensagem do Novo Testamento e inculturá-la depois novamente nos seus respectivos ambientes.

Esta tese não é simplesmente errada; contudo é grosseira e imprecisa. De facto, o Novo Testamento foi escrito em grego e tem em si o contacto com o espírito grego um contacto que se tinha maturado no desenvolvimento precedente do Antigo Testamento. Sem dúvida existem elementos no processo formativo da Igreja antiga que não devem ser integrados em todas as culturas. Mas as decisões de fundo que, precisamente, se referem ao relacionamento da fé com a investigação da razão humana, estas decisões de fundo pertencem à própria fé e são os seus desenvolvimentos, conformes com a sua natureza.

Com isto chego à conclusão. Esta tentativa, feita apenas em linhas gerais, de crítica da razão moderna a partir do seu interior, não inclui absolutamente a opinião de que agora se deva voltar atrás, à época anterior ao iluminismo, rejeitando as convicções da era moderna. Aquilo que no desenvolvimento moderno do espírito é válido, é reconhecido sem hesitações: todos estamos gratos pelas grandiosas possibilidades que ele abriu ao homem e pelos progressos no campo humano que nos foram proporcionados. O ethos da cientificidade, afinal, é como Vossa Magnificência mencionou vontade de obediência à verdade e, por conseguinte, expressão de uma atitude que faz parte das decisões fundamentais do espírito cristão.

Por conseguinte, a intenção não é retracção, nem crítica negativa; ao contrário, trata-se de um alargamento do nosso conceito de razão e do seu uso. Porque com toda a alegria diante das possibilidades do homem, vemos também as ameaças que sobressaem destas possibilidades e devemos perguntar-nos como podemos dominá-las. Só o conseguiremos se razão e fé estiverem unidas de uma nova forma; se superarmos a limitação autodecretada da razão ao que é verificável na experiência, e lhe abrirmos de novo toda a sua vastidão. Neste sentido, a teologia, não só como disciplina histórica e humano-científica, mas como verdadeira teologia, ou seja, como interrogação sobre a razão da fé, deve ter o seu lugar na universidade e no amplo diálogo das ciências.

Só assim nos tornamos também capazes de um verdadeiro diálogo das culturas e das religiões um diálogo do qual temos urgente necessidade. No mundo ocidental domina amplamente a opinião de que só a razão positivista e as formas de filosofia dela derivantes sejam universais. Mas as culturas profundamente religiosas do mundo vêem precisamente nesta exclusão do divino da universalidade da razão um ataque às suas convicções mais íntimas. Uma razão, que diante do divino é surda e rejeita a religião do âmbito das subculturas, é incapaz de se inserir no diálogo das culturas.

Contudo, a razão moderna típica das ciências naturais, com o seu elemento platónico intrínseco, tem em si, como procurei demonstrar, uma pergunta que a transcende juntamente com as suas possibilidades metódicas. Ela mesma deve simplesmente aceitar a estrutura racional da matéria e a correspondência entre o nosso espírito e as estruturas racionais actuantes na natureza como um dado de facto, sobre o qual se baseia o seu percurso metódico. Mas a pergunta acerca do porque deste dado de facto existe e deve ser confiada pelas ciências naturais a outros níveis e modos do pensar à filosofia e à teologia.

Para a filosofia e, de maneira diferente, para a teologia, ouvir as grandes experiências e convicções das tradições religiosas da humanidade, especialmente a da fé crista, constitui uma fonte de conhecimento; recusar-se significaria uma limitação inaceitável do nosso ouvir e responder.

Vêm-me à mente a este ponto uma palavra de Sócrates a Fédon. Nos diálogos precedentes tinham sido tratadas muitas opiniões filosóficas erradas, e então Sócrates diz: "Seria muito compreensível se alguém, devido à irritação por tantas coisas erradas, para o resto da sua vida desprezasse qualquer discurso sobre o ser ou o denegrisse. Mas desta forma perderia a verdade do ser e sofreria um grande dano".

O ocidente, desde há muito tempo, está ameaçado por esta repulsa contra os questionamentos fundamentais da sua razão, e assim poderia sofrer unicamente um grande dano. A coragem de se abrir à vastidão da razão, não a rejeição da sua grandeza este é o programa com que uma teologia comprometida na reflexão sobre a fé bíblica, entra no debate do tempo presente. "Não agir segundo razão, não agir com o logos, é contrário à natureza de Deus", disse Manuel II, partindo da sua imagem cristã de Deus, ao interlocutor persa. Para este grande logos, para esta vastidão da razão, convidamos os nossos interlocutores no diálogo das culturas. Encontrá-la nós próprios sempre de novo, é a grande tarefa da universidade.

18.6.06

"Avis a cantu dignoscitur"

"Estou em dívida com Dan Brown"

Andrea Ermini, de 28 anos, trabalha em Florença (Itália). Há um ano leu “O Código Da Vinci” e ficou surpreso com o retrato que no romance se faz do Opus Dei. Pesquisou e... hoje pertence a essa instituição católica. “Graças a Dan Brown descobri a beleza da fé”, diz.

24 de maio de 2006

“A expressão ‘santificar o trabalho e a vida cotidiana’ atraiu-me, tocou-me o coração”.Andrea Ermini trabalha no departamento de Recursos Humanos de uma empresa florentina. Depois de ler “O Código Da Vinci”, ficou surpreso com o duro retrato que se faz do Opus Dei, uma instituição que faz parte da Igreja. “Aquilo me pareceu suspeito e decidi investigar”, explica.

Como você descobriu o Opus Dei?

Andrea: Ocorreu há já um ano e meio. Depois de ler “O Código Da Vinci”, achei estranho que algumas críticas dissessem que o Opus Dei era “uma estranha organização católica”, em que se utilizava de “lavagem cerebral” para recrutar membros, afeita ao sigilo e a práticas masoquistas. Tudo aquilo me pareceu muito suspeito e decidi investigar por minha conta. Parecia-me absurdo que a Igreja Católica pudesse aceitar em sua organização uma instituição desse tipo.

Comecei a procura da maneira mais simples: na internet, através do Google. Rapidamente encontrei o site da Obra. Depois, já com curiosidade, comprei o livro de São Josemaria com reflexões espirituais, chamado “Caminho”, e o li numa sentada.

Como era a sua vida cristã naquela época?

Andrea: Ia à Missa duas vezes ao ano: no Natal e na Páscoa. Ainda que não praticasse muito, tinha verdadeiro apreço pelo Papa e pela Igreja Católica em geral.

“A mudança mais radical ocorreu quando descobri que tinha que cuidar da minha ‘vida espiritual’ e que podia fazê-lo sabendo-me acompanhado por Deus em todos os momentos do dia”.E então, o que aconteceu?

Andrea: A curiosidade inicial transformou-se em um caminho de conversão muito mais profundo. Até então eu via a fé como algo antiquado, que não podia adaptar-se à minha vida, algo que se ajustava melhor às senhoras mais velhas, que podiam rezar continuamente o terço.

Por outro lado, a expressão “santificar o trabalho” atraiu-me, tocou-me o coração. Além disso, o estilo direto de “Caminho”, onde São Josemaria parece que nos fala diretamente, ajudou-me a refletir.

Pela internet, soube que o Opus Dei promovia iniciativas como o ELIS em Roma ou o IESE em Barcelona. A idéia de que pudessem unir o espírito cristão com o ensino numa escola de direção de empresas ou com o trabalho manual mais simples interessou-me muitíssimo.

Por fim, tomei a decisão de enviar um e-mail ao site do Opus Dei para solicitar um contato direto. Deram-me o endereço de um Centro - L’Accademia dei Ponti (Florença) –, onde comecei a ter direção espiritual com um sacerdote e onde conheci outras pessoas do Opus Dei.

Quais foram as outras etapas desse caminho?

Andrea: Comecei a rezar com mais freqüência e a assistir a diversas palestras de formação cristã organizadas pelo Opus Dei: o recolhimento espiritual uma vez ao mês, e a cada semana uma aula sobre algum tema de fé ou de virtudes. No dia 1º de novembro de 2005 fui nomeado "Cooperador do Opus Dei" e no dia 13 de maio passei a fazer parte da Obra.

A mudança mais radical ocorreu quando descobri que tinha que cuidar da minha “vida espiritual”, e que podia fazê-lo sabendo-me acompanhado por Deus em todos os momentos do dia. Já há algum tempo assisto à Missa e rezo o terço diariamente e isso me ajuda a “manter o rumo” e a alegria durante as minhas jornadas de trabalho.

Depois de tudo isso, qual a sua opinião sobre o “Código Da Vinci”?

Andrea: Se não fosse por Dan Brown, não teria redescoberto a beleza da fé e a minha vocação. Talvez o Senhor tivesse se servido de outros caminhos, sem dúvida, mas para mim aquilo começou com um enigma: uma descrição sinistra e obscura da Igreja Católica. Sem dúvida, tenho uma grande dívida com Dan Brown. E talvez não seja o único...

Fonte: site do Opus Dei

28.5.06

"O Código Da Vinci" ou "a Bíblia daqueles que leram um livro só"

Mais uma vez a formulinha "sexo e/ou anti-cristianismo = $$$money" é aplicada com sucesso. Dan Brown deve estar pulando de alegria (sobre um monte de dinheiro como o Tio Patinhas). Escrever um romance, uma ficção que tenha boa venda é legítimo. Usar a imaginação para criar outros mundos e realidades é legítimo e saudável. Porém, mesclar realidade e ficção sem distinção de limites já é outra coisa. Muitas pessoas desinformadas (e que, aparentemente, não querem se informar e refletir sobre os fatos) engolem e aceitam tudo como uma espécie de "dogma", por serem evidentemente contrários aos "dogmáticos" ignorantes... a eterna intolerância dos tolerantes com relação aos intolerantes...

Para quem só ouviu falar do Opus Dei através do livro (ou pior do filme) "O código Da Vinci" (que aliás já mostra a erudição do autor visto que "Da Vinci" não é sobrenome...), eis um sítio interessante sobre essa discreta instituição da Igreja Católica, cujo fundador cometeu o "crime" de difundir a mensagem de que o trabalho e as circunstâncias do dia-a-dia são ocasião de encontro com Deus, de serviço aos outros e de melhora da sociedade:

http://www.opusdei.com/

Veja também: http://www.veritatis.com.br/

4.3.06

Encíclica de Bento XVI já é best-seller

Encíclica de Bento XVI já é best-seller

A primeira encíclica de Bento XVI - "Deus Caritas est" - já vendeu um milhão e 115 mil cópias no circuito de livrarias leigas e religiosas, informa a Livraria Editora Vaticana. Publicada em 25 de janeiro, "Deus é Amor" encontra-se disponível em vários idiomas e em português no endereço: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20051225_deus-caritas-est_po.html

Fonte: Agência Ecclesia

28.2.06

‘Joe nos ensinou que Deus é um chapa’

‘Joe nos ensinou que Deus é um chapa’

Fernando Duarte
Correspondente LONDRES


Durante quase 40 anos, Tony Hendra foi puramente associado à sátira e a iconoclastia inclementes, fosse nos palcos junto aos colegas de Universidade de Cambridge (entre eles John Cleese e Graham Chapman, que anos depois fariam parte do Monty Python) ou como fundador da “National Lampoon”, a seminal revista humorística americana. Até que, em 2004, o ator e humorista inglês lançou um livro em que nem mesmo confissões como a de duas tentativas de suicídio se mostraram tão surpreendentes como os relatos de uma inimaginável amizade com um monge beneditino de uma abadia da bucólica Ilha de Wight, no Reino Unido. Em “Frei Joe”, que chega ao Brasil pela Objetiva, Hendra não apenas relembra os diálogos com o monge que conheceu aos 14 anos, depois de flagrado numa mistura de iniciação sexual e adultério com uma vizinha mais velha. Ele também faz uma emocionante reflexão sobre a fé e os dilemas do catolicismo, que toma boa parte da entrevista concedida ao GLOBO, por telefone, de Nova York.

Por que publicar a história de sua amizade com Frei Joe?

TONY HENDRA: Já tinha conversado com Joe a respeito do livro um pouco antes de ele ficar doente de novo (Joe morreu em 1999, de um câncer reincidente). Seria uma espécie de trabalho a quatro mãos. Depois de Joe partir, porém, acho que meus motivos foram mais egoístas do que qualquer outra coisa. Percebi que ele tinha sido mais determinante em minha vida do que jamais tinha notado. Pensava que Joe jamais iria embora, e o vazio deixado por ele me inspirou a escrever o livro, minha tentativa infantil de ressurreição.

“Frei Joe” foi publicado numa época em que choviam denúncias e críticas contra a Igreja Católica, em especial sobre o comportamento nada santo de seus sacerdotes. O senhor temeu pelo tipo de recepção que o livro poderia ter?

HENDRA: Confesso que tive um pouco de medo, mas, quando comecei a receber e-mails de pessoas que nem se diziam católicas, descobri que o livro foi uma espécie de boa notícia para o catolicismo. O mais importante, no entanto, foi mostrar que Joe era muito mais autêntico do que muitos líderes cristãos que bombardeiam os americanos com imposições sobre a fé. Joe não queria evangelizar o mundo, mas cuidar dos temores e dos desafios da vida cotidiana. No fim das contas, acho que o livro fala muito numa variação da parábola do filho pródigo, que tem apelo mesmo para quem não é cristão.

O senhor faz críticas ao Concílio Vaticano II e às modificações provocadas na liturgia católica. Mas não concorda que tais mudanças propiciaram justamente um contato mais informal entre sacerdotes e fiéis?

HENDRA: Frei Joe já atuava dessa maneira muito antes do Concílio, sem hierarquizar as relações com os fiéis e defendendo uma democratização da Igreja. Sem falar que ele não bancava o santo — gostava de vinho e louras, por sinal! Admito que o Vaticano acertou ao estimular o acesso dos fiéis às congregações não somente por motivos religiosos, mas ao mesmo tempo discordo da maneira como tratou os aspectos litúrgicos. Trocar o canto gregoriano por guitarras na missa, por exemplo, em nada fez para trazer mais fiéis e foi muito mais um comprometimento da identidade católica do que um benefício. E não penso que a Igreja tenha se democratizado desde então.

O senhor consegue imaginar Frei Joe vivendo nos dias de hoje?

HENDRA: Sim, pois muita gente já teve um guia como ele em sua vida e, como conto no livro, o próprio Joe ( de acordo com Hendra, Lady Di foi uma das muitas pessoas aconselhadas pelo monge ). Mas é inegável que Joe foi único. Bastou constatar que, depois de sua morte, a casa de hóspedes da Abadia de Wight estava sempre com vagas, o que antes não acontecia. Joe tinha o dom de saber escutar e, mesmo sem ter sido canonizado, foi um santo para mim e muitos outros.

Quão surpreendente foi o sucesso do livro?

HENDRA: A primeira edição teve apenas 12 mil cópias, mas meses depois estávamos em primeiro lugar na lista de best-sellers do “New York Times”. Já me propuseram fazer um filme sobre Joe, mas só vai acontecer se eu tiver controle do projeto. Conheço Hollywood o suficiente para saber que, se vender os direitos, acabarei vendo Anthony Hopkins ou Al Pacino no papel do frei (risos).

No livro há vários exemplos de como Frei Joe aconselhou o senhor. Alguma dica para leitores que passem ou tenham passado pelas mesmas aflições?

HENDRA: Se meu livro impedir que alguém se jogue na frente de um trem, como tive vontade de fazer em alguns dos meus momentos de maior desespero, ficarei extremamente grato. Mas quem sou eu para dar conselhos? Apenas espero que as lições de Joe incentivem as pessoas a ter menos medo de Deus e da religião. Joe nos ensinou que Deus é um chapa.

Quanta falta Joe faz?

HENDRA: Sempre fará falta, mas ao menos me sinto privilegiado por ter encontrado em Joe a maior representação possível de Cristo. Ele foi a fé tangível.

Fonte: http://oglobo.globo.com/jornal/Suplementos/ProsaeVerso/191965782.asp

18.2.06

Ratzinger ou Bento?

Quem era Joseph Ratzinger, realmente? E quem é Bento XVI? Os dois são o mesmo homem? Ou alguma coisa mudou?

Dr. Robert Moynihan,

Inside Vatican
O Ano Passado e Este Ano
[Editorial de janeiro de 2006 de Inside the Vatican, pelo Dr. Robert Moynihan]


Nesta edição de Inside the Vatican, a foto da capa é do nosso "Homem do Ano", o Papa Bento XVI, caminhando em suas vestes papais brancas, acenando. Ele parece bastante feliz, alegre, sereno. Essa é talvez a coisa mais notável até o momento acerca de seu pontificado: que tem sido silencioso, sereno, até mesmo, poderia-se dizer, feliz.
Quem teria esperado isso? A "imagem" que o mundo tinha de Joseph Ratzinger o "Grande Inquisidor", a intransigente cabeça do antigo "Santo Ofício da Inquisição", foi totalmente despedaçada pela realidade de Bento. E assim nos deparamos com a questão da imagem e a substância, da aparência e a realidade.
Quem era Joseph Ratzinger, realmente? E quem é Bento XVI? Os dois são o mesmo homem? Ou alguma coisa mudou?
Uma coisa é clara: é na transição de "Joseph Ratzinger" para "Bento XVI" que a história desse pontificado será escrita. Todo Papa é dois homens. Isso é assim porque todo Papa tem dois nomes. Esse Papa foi Joseph Ratzinger (assim como os anteriores foram Karol Wojtyla, ou Eugenio Pacelli). Agora ele é Bento XVI (e Wojtyla foi João Paulo II, e Pacelli foi Pio XII). Como homens, eles têm o nome que seus pais lhes deram, o nome que eles carregaram quando crianças, seu nome de batismo; como sucessores de Pedro, eles têm um novo nome, o nome escolhido no momento da eleição para o trono papal.
O que isso significa? Significa que há uma tensão dentro de cada pessoa que assume o trono de Pedro, uma tensão na encruzilhada de sua realidade mais íntima: seu nome. Todo Papa era um homem; agora é outro.
Como Joseph Ratzinger, esse Papa teve uma identidade muito particular. Ele era um alemão, da Bavária, filho de um policial antinazista, que cresceu sob o totalitário regime nazista, na Igreja pré-conciliar. Ele foi um teólogo que estudou Agostinho e Boaventura, que trabalhou no Concílio Vaticano II na força e paixão de sua juventude, que se tornou professor, depois bispo, depois cardeal e, de fato, foi provavelmente o mais influente de todos os cardeais na Igreja por quase um quarto de século.
E então, em 19 de abril de 2005, poucos dias antes de seu 78.º aniversário, ele mudou de nome. Ele não era mais Joseph; ele era Bento. E o 16.º numa longa linhagem de Bentos.
Tem havido um silêncio notável em Roma nos últimos nove meses. O círculo íntimo do novo Papa é bastante pequeno e coeso. Não houve "vazamentos" neste pontificado .
Então, o que está se passando? Bento está "vestindo" seu novo nome. Ele tem estado se adaptando à mudança dramática que ocorreu com sua identidade em 19 de abril. (Um modo como ele tem feito isso é rezando o rosário diariamente com seu secretário particular.) Ele não é mais Joseph Ratzinger, mas Bento. Ele está se tornando Bento para si mesmo, e se tornará Bento perante nossos olhos durante 2006 e depois. Todos nós logo veremos quem Bento realmente é.
Quais são os problemas que Bento enfrenta? São muitos, mas ainda assim, em última instância, redutíveis a um só: a fé. Ensinar a fé. Testemunhar a fé. Crer em Cristo, pregar essa crença, viver essa crença. Todos sabemos as conseqüências da perda da fé: egoísmo, pecado, crueldade, opressão, sofrimento, divisão, choro, raiva, morte. E assim, para qualquer um que ame a Deus e ao próximo, a cura para as dores deste mundo é evidente: a fé. Os resultados da fé são igualmente claros: generosidade, sacrifício de si, afabilidade, misericórdia, paz, unidade, serenidade, risada saudável, amor, vida.
O "plano" geral do pontificado de Bento não pode ser outra coisa senão isso -- assim como é o plano geral de todos os Papas: preservar a fé. Defender a fé. Confirmar os outros na fé.
Os muitos problemas na Igreja, e no mundo, que nos preocupam a todos -- problemas econômicos, dívidas, pobreza; problemas políticos, tensões internacionais, guerras e rumores de guerras; problemas particulares, doença, tristeza, solidão; problemas eclesiais, a ruptura de votos, a difusão de pecados -- todos esses problemas só podem ser enfrentados a partir do fundamento da fé entregue a nós desde o início.
Nesta edição, escolhemos Bento como nosso "Homem do Ano" porque é ele que todos os Católicos agora esperam que ensine a fé, pregue a fé, defenda a fé, isto é, seja o Vigário de Cristo na terra.
E nós escolhemos outros nove homens e mulheres para completar nossas "Dez Pessoas Principais de 2005", pessoas que, cada qual a seu modo, estão dando testemunho, não de modo perfeito mas de modo verdadeiro, daquela fé que é a esperança do mundo e da humanidade.
A fé está fraca? Sim. Mas na fraqueza há humildade, e na humildade há o germe da força.
Há guerras pelo mundo? Sim. Mas também há pacificadores, e por meio da fé e da perseverância na fé, aqueles que trabalham pela paz não cessarão seus esforços.
Pecados sexuais são cometidos? Sim. Mas há também aqueles que lutam pela pureza, que buscam a castidade, e estes prestam um testemunho poderoso a este mundo degradado.
A Igreja descarrilhou-se? Humanamente falando, estamos em dificuldades . Muitas igrejas paroquiais estão fechando, há muitos padres em pecado, muitos cristãos tíbios, muitas crianças sem receber outra educação que a dos jogos de computador mundanos, muitos idosos aos quais não se proporciona dignidade, e alguns dos fiéis mais apaixonados parecem arrogantes, intolerantes, sem caridade. De modo que a Igreja parece, de fato, estar passando por uma "noite escura" coletiva.
Nessa "noite escura" chegou o Papa Bento. Caberá a ele fazer brilhar a luz da fé na atual escuridão.
- Dr. Robert Moynihan

Autor: Marcus Moreira Lassance Pimenta
Fonte:
Tradução: www.montfort.org.br

30.4.05

SÓLO ROMA TIENE RAZÓN? - Papa Juan Pablo II

SÓLO ROMA TIENE RAZÓN?

PREGUNTA (de Vittorio Messori)

Volvamos a esos tres niveles de la fe católica, unidos entre sí de modo inseparable, y de los que hablamos en la cuarta pregunta. Entre estas realidades ya señalamos a Dios y a Jesucristo; ahora es el momento de llegar a la Iglesia.
Se ha comprobado que la mayoría de las personas, incluso en Occidente, creen en Dios, o al menos en «algún» Dios. El ateísmo motivado, declarado, ha sido siempre, y parece serlo todavía, un asunto de elite, de intelectuales. En cuanto a creer que ese Dios se haya «encarnado» en Jesús -o al menos «manifestado» de algún modo singular-, también lo creen muchos.
Pero ¿y en la Iglesia? ¿En la Iglesia católica en concreto? Muchos parecen hoy rebelarse ante la pretensión de que sólo en ella haya salvación. Aunque sean cristianos, a veces incluso católicos, son muchos los que se preguntan: ¿Por qué, entre todas las Iglesias cristianas, tiene que ser la católica la única en poseer y enseñar la plenitud del Evangelio?

RESPUESTA

Aquí, en primer lugar, hay que explicar cuál es la doctrina sobre la salvación y sobre la mediación de la salvación, que siempre proviene de Dios. «Uno solo es Dios y uno solo también el mediador entre Dios y los hombres, el hombre Cristo Jesús» (cfr. 1 Timoteo 2,5). «En ningún otro nombre hay salvación» (cfr. Hechos de los Apóstoles 4,12) Por eso es verdad revelada que la salvación está sola y exclusivamente en Cristo. De esta salvación la Iglesia, en cuanto Cuerpo de Cristo, es un simple instrumento. En las primeras palabras de la Lumen gentium, la Constitución conciliar sobre la Iglesia, leemos: «La Iglesia es en Cristo como un sacramento, o signo e instrumento de la unión íntima con Dios y de la unidad de todo el género humano» (n. 1). Como pueblo de Dios, la Iglesia es pues al mismo tiempo Cuerpo de Cristo.

El último Concilio explicó con toda profundidad el misterio de la Iglesia: «El Hijo de Dios, uniendo consigo la naturaleza humana y venciendo la muerte con Su muerte y Resurrección, redimió al hombre y lo transformó en una nueva criatura (cfr. Gálatas 6,15; 2 Corintios 5,17). Al comunicar Su Espíritu hace que Sus hermanos, llamados de entre todas las gentes, constituyan Su cuerpo místico» (LG n. 7). Por eso, según la expresión de san Cipriano, la Iglesia universal se presenta como «un pueblo unido bajo la unidad del Padre, del Hijo y del Espíritu Santo» (De Oratione Dominica, 23). Esta vida, que es la vida de Dios y la vida en Dios, es la realización de la Salvación. El hombre se salva en la Iglesia en cuanto que es introducido en el Misterio trinitario de Dios, es decir, en el misterio de la íntima vida divina.
No se debe entender eso deteniéndose exclusivamente en el aspecto visible de la Iglesia. La Iglesia es más bien un organismo. Esto es lo que expresó san Pablo en su genial intuición del Cuerpo de Cristo (cfr. Colosenses 1,18).


«Así todos nosotros nos convertimos en miembros de ese Cuerpo (cfr. 1 Corintios 12,27) [...], e individualmente somos miembros los unos de los otros (Romanos 12,5) [...] También en la estructura del Cuerpo místico existe una diversidad de miembros y de oficios (1 Corintios 12,11).
Uno es el Espíritu, el cual para la utilidad de la Iglesia distribuye la variedad de sus dones con una magnificencia proporcionada a su riqueza y a la necesidad de los ministerios» (LG n. 7).

Así pues, el Concilio está lejos de proclamar ningún tipo de eclesiocentrismo. El magisterio conciliar es cristocéntrico en todos sus aspectos y, por eso, está profundamente enraizado en el Misterio trinitario. En el centro de la Iglesia se encuentra siempre a Cristo y Su Sacrificio, celebrado, en cierto sentido, sobre el altar de toda la creación, sobre el altar del mundo. Cristo «es engendrado antes que toda criatura» (cfr. Colosenses 1,15), mediante Su Resurrección es también «el primogénito de los que resucitan de entre los muertos» (Colosenses 1,18). En torno a Su Sacrificio redentor se reúne toda la creación, que está madurando sus eternos destinos en Dios. Si tal maduración se obra en el dolor, está, sin embargo, llena de esperanza, como enseña san Pablo en la Carta a los Romanos (cfr. 8,23-24).

En Cristo la Iglesia es católica, es decir, universal. Y no puede ser de otro modo: «En todas las naciones de la tierra está enraizado un único Pueblo de Dios, puesto que de en medio de todas las estirpes ese Pueblo reúne a los ciudadanos de Su Reino, no terreno sino celestial. Todos los fieles dispersos por el mundo se comunican con los demás en el Espíritu Santo, y así "quien habita en Roma sabe que los habitantes de la India son miembros suyos".» Leemos en el mismo documento, uno de los más importantes del Vaticano II: «En virtud de esta catolicidad, cada una de estas partes aporta sus propios dones a las otras partes y a toda la Iglesia, de este modo el todo y cada una de las partes quedan reforzadas, comunicándose cada una con las otras y obrando concordemente para la plenitud de la unidad» (LG n. 13).
En Cristo la Iglesia es, en muchos sentidos, una comunión Su carácter de comunión la hace semejante a la divina comunión trinitaria del Padre y del Hijo y del Espíritu Santo Gracias a esa comunión, la Iglesia es instrumento de la salvación del hombre. Lleva en sí el misterio del Sacrificio redentor, y del que continuamente se enriquece. Mediante la propia sangre derramada, Jesucristo no cesa de «entrar en el santuario de Dios, después de haber obrado una redención eterna» (cfr. Hebreos 9,12.

Así pues, Cristo es el verdadero autor de la salvación de la humanidad. La Iglesia lo es en tanto en cuanto actúa por Cristo y en Cristo. El Concilio enseña: «El solo Cristo, presente en medio de todos nosotros en Su Cuerpo que es la Iglesia, es el mediador y camino de la salvación, y Él mismo, inculcando expresamente la necesidad de la fe y del bautismo (cfr. Marcos 16,16 y Juan 3,5), confirmó al mismo tiempo la necesidad de la Iglesia, en la que los hombres entran por el Bautismo como por una puerta. Por eso no pueden salvarse aquellos hombres que, no ignorando que la Iglesia católica ha sido de Dios, por medio de Jesucristo, fundada como necesaria, no quieran entrar en ella o en ella perseverar» (LG n. 14).
Aquí se inicia la exposición de la enseñanza conciliar sobre la Iglesia como autora de la salvación en Cristo: «Están plenamente incorporados en la sociedad de la Iglesia aquellos que, poseyendo el Espíritu de Cristo, aceptan integralmente su organización y todos los medios de salvación en Ella establecidos, y en su cuerpo visible están unidos a Cristo -que la dirige mediante el Sumo Pontífice y los obispos- por los vínculos de la profesión de fe, de los Sacramentos, del régimen eclesiástico y de la Comunión. No se salva, sin embargo, aunque esté incorporado a la Iglesia, el que, no perseverando en la caridad, permanece en el seno de la Iglesia con el «cuerpo», pero no con el «corazón». No olviden todos los hijos de la Iglesia que su privilegiada condición no se debe a sus méritos, sino a una especial gracia de Cristo, por la que si no corresponden con el pensamiento, con las palabras y con las obras, no sólo no se salvarán sino que serán más severamente juzgados» (LG n. 14). Pienso que estas palabras del Concilio explican plenamente la dificultad que expresaba su pregunta, aclaran de qué modo la Iglesia es necesaria para la salvación.
El Concilio habla de pertenecer a la Iglesia para los cristianos, y de ordenación a la Iglesia para los no cristianos que creen en Dios, para los hombres de buena voluntad (cfr. LG nn. 15 y 16). Para la salvación, estas dos dimensiones son importantes, y cada una de ellas posee varios grados. Los hombres se salvan mediante la Iglesia, se salvan en la Iglesia, pero siempre se salvan gracias a Cristo. Ámbito de salvación pueden ser también, además de la formal pertenencia, otras formas de ordenación. Pablo VI expone la misma doctrina en Su primera Encíclica Ecclesiam suam, cuando habla de los varios círculos del diálogo de la salvación (cfr. nn. 101-117), que son los mismos que señala el Concilio como ámbitos de pertenencia y de ordenación a la Iglesia. Tal es el sentido genuino de la conocida afirmación: «Fuera de la Iglesia no hay salvación.»
Es difícil no admitir que toda esta doctrina es extremadamente abierta. No puede ser tachada de exclusivismo eclesiológico. Los que se rebelan contra las presuntas pretensiones de la Iglesia católica probablemente no conocen, como deberían, esta enseñanza.

La Iglesia católica se alegra cuando otras comunidades cristianas anuncian con ella el Evangelio, sabiendo que la plenitud de los medios de salvación le han sido confiados a ella. En este contexto debe ser entendido el subsistit de la enseñanza conciliar (cfr. Constitución Lumen gentium, 8; Decreto Unitatis redintegratio, 4).
La Iglesia, precisamente como católica que es, está abierta al diálogo con todos los otros cristianos, con los se-guidores de religiones no cristianas, y también con los hombres de buena voluntad, como acostumbraban a decir Juan XXIII y Pablo VI. Qué significa «hombre de buena vo-luntad» lo explica de modo profundo y convincente la misma Lumen gentium. La Iglesia quiere anunciar el Evange-lio junto con los confesores de Cristo. Quiere señalar la todos el camino de la eterna salvación, los principios de lo vida en Espíritu y verdad.

Permítame que me refiera a los años de mi primera juventud. Recuerdo que, un día, mi padre me dio un libro de oraciones en el que se encontraba la Oración al Espíritu Santo. Me dijo que la rezara cada día. Por eso, desde aquel momento, procuro hacerlo. Entonces comprendí por primera vez qué significan las palabras de Cristo a la samari-tana sobre los verdaderos adoradores de Dios, sobre los que Lo adoran en Espíritu y verdad (cfr. Juan 4,23). Después, en mi camino hubo muchas etapas. Antes de entrar en el seminario, me encontré a un laico llamado Jan Tyra-nowski, que era un verdadero místico. Aquel hombre, que considero un santo, me dio a conocer a los grandes místicos españoles y, especialmente, a san Juan de la Cruz. Aun antes de entrar en el seminario clandestino leía las obras de aquel místico, en particular las poesías. Para poderlo leer en el original estudié la lengua española. Aquélla fue una etapa muy importante de mi vida.

Pienso, sin embargo, que aquí tuvieron un papel esencial las palabras de mi padre, porque me orientaron a que fuera un verdadero adorador de Dios, me orientaron a que procurara pertenecer a Sus verdaderos adoradores, a aquellos que Le adoran en Espíritu y verdad. Encontré la Iglesia como comunidad de salvación. En esta Iglesia encontré mí puesto y mi vocación. Gradualmente, comprendí el significado de la redención obrada por Cristo y, en consecuencia, el significado de los Sacramentos, en particular de la Santa Misa. Comprendí a qué precio hemos sido redimidos. Y todo eso me introdujo aún más profundamente en el misterio de la Iglesia que, en cuanto misterio, tiene una dimensión invisible. Lo ha recordado el Concilio. Este misterio es más grande que la sola estructura visible de la Iglesia y su organización. Estructura y organización sirven al misterio. La Iglesia, como Cuerpo místico de Cristo, penetra en todos y a todos comprende. Sus dimensiones espirituales, místicas, son mucho mayores de cuanto puedan demostrar todas las estadísticas sociológicas.


Fonte: Cruzando el Umbral de la Esperanza - Juan Pablo II

24.4.05

Anglican clergy defect for Catholic Church

Anglican clergy defect for Catholic Church

AM - Tuesday, 23 December , 2003 08:14:55
Reporter: Ben Knight
DAVID HARDAKER: After a year of turmoil and division, the Anglican Church is now losing its clergy to the Catholic Church.

Father William Edebohls, once the Anglican Dean of Ballarat, is now the Assistant Priest at a Catholic church in suburban Melbourne.

Father Edebohls' move reflects discontent among a group of conservative priests. For those priests the crisis began with the Anglican Church's decision to ordain women as priests, and it's grown with the move to do the same with homosexuals.

They say it's caused a 'reclustering' amongst Anglicans, and that some of those clusters may move to make their own reunification with the Catholic Church.

Ben Knight reports.

BEN KNIGHT: Father Bill Edebohls declined to talk to AM about his decision this morning, saying it was a personal matter. But he did confirm that he had become a Catholic priest, and that as a husband and father, he'd been exempted from the rule of celibacy.

While his conversion, or defection, is unusual, he's by no means the only Anglican minister in Australia who feels that the Catholic Church might be more in line with his core beliefs.

DAVID CHISLETT: I think Anglicans like me consider that every couple of days.

BEN KNIGHT: Father David Chislett is the Rector of All Saints Anglican Church in Brisbane and is a close friend of Father Bill Edebohls.

DAVID CHISLETT: People's consciences must not be down, they mustn't be made to believe things that they can't believe, and one of the things that's happened to us over the last 15 years is, as we see it, we're trying to be faithful priests in a church which is drifting away from us.

BEN KNIGHT: What stops you from doing it?

DAVID CHISLETT: We have responsibility for people to whom we minister, we believe that we can't abandon people, we want to have the largest community possible with us, and in my particular parish we want to protect the people that we have and basically not let the liberals take over.

BEN KNIGHT: The liberals, are of course, the small "l" liberal Anglicans who support changes to the church, like the ordination of women and gays.

Those differences have been brought to a head this year by the appointment of gay bishop Gene Robinson in the United States.

In Australia, much of the debating has been done between the liberal Anglicans, mainly in Melbourne, and evangelical Anglicans in Sydney, led by Bishop Peter Jensen.

But David Chislett represents a third cluster in the church, the Anglo-Catholics.

It's a traditional group that's been in favour of reuniting with the Vatican, something which, despite strong progress in the 1970s, is now looking extremely unlikely.

This year, David Chislett made his own trip to Rome to begin what he calls very informal talks, but he says there are others who feel the same.

DAVID CHISLETT: I do think that there'll be others who will go to Rome, yeah, as individuals. Some of us still cling to the vision of a cluster of Anglicans with aspects of Anglican heritage and ethos as a kind of church in full communion with the Holy See.

BEN KNIGHY: Charles Sherlock is an Anglican liberal, and who leads the church's discussions with the Vatican on theology.

He doesn't believe the Anglican Church is leaving people like Bill Edebohls and David Chislett behind, and rejects the labelling of its members.

CHARLES SHERLOCK: Conservative and liberal really aren't the sort of terms that work. I mean, overwhelmingly Australian Christians are conservative theologically because the alternative, stuff like believing in Santa Claus and shopping, is so appalling. And so the differences between us, and there are them, tend to be more on applied issues and sometimes I think they're made to look far bigger than they actually are.

DAVID HARDAKER: Anglican theologian, Charles Sherlock ending Ben Knight's report.

[This is the print version of story http://www.abc.net.au/am/content/2003/s1015188.htm]

Cattolico? No, grazie - Messori

Cattolico? No, grazie

di Vittorio Messori



Si incontrano sempre più spesso atteggiamenti diffamatori nei confronti della Chiesa e della sua storia. Secondo alcuni, non serve reagire. Ma non si può dimenticare il male evitato e il bene seminato nei secoli dalla Chiesa, attraverso la preghiera incessante di generazioni e l’opera di tanti sacerdoti non ricordati dalla "grande storia".
Un giornalista americano che viene a pormi qualche domanda mi dice che, nelle redazioni degli Stati Uniti, sembra passata l’ossessione per la famosa regola delle cinque W (Who? What? When? Where? Why?) alle quali ogni cronista doveva uniformarsi nello scrivere. Adesso, mi rivela il collega, vige negli Usa un’altra norma, talvolta tacita ma spesso esplicita – comunque, ferrea – che è indicata come ABC: è, cioè, All But Catholicism. In italiano: "Tutto, fuorché il cattolicesimo". Anche la lunga, furibonda campagna dei media contro la cosiddetta "pedofilia" (in realtà, pederastia) di membri del clero, non sarebbe che un aspetto di questa sorta di nuovo obbligo di diffamazione.
In quello che è spesso, ormai, un odio anticattolico, si uniscono le avversioni dei liberal agnostici, di certi settori ebraici, di molte logge massoniche, ma anche quelle degli evangelicals, gli aderenti alla setta di un protestantesimo ormai maggioritario ma fuori controllo, spesso delirante nei confronti del "papismo". In effetti, molto dell’ecumenismo praticato oggi nella Chiesa cattolica è affetto da anacronismo: si "dialoga" con le comunità cristiane storiche (luteranesimo, calvinismo, anglicanesimo) che sono ormai esangui, sostituite, soprattutto negli States, da comunità fondamentaliste per le quali il Papato è, e resta, l’Anticristo con il quale ogni avvicinamento è blasfemo. Dunque, la calunnia e l’aggressività contro i Roman Catholics sarebbe meritoria.
Ma c’è un’altra aggressiva "apologetica" che pervade oggi l’Occidente: è quella dell’islamismo, interessato a svalutare il cristianesimo (e, soprattutto quel cattolicesimo con il quale si scontrò per secoli) per mostrare la superiorità del messaggio portato da Muhammad, ultimo e definitivo profeta.
Sta di fatto che è ritornato alla grande il consueto rosario di accuse contro una bimillenaria vicenda ecclesiale che avrebbe reso più gravosa la sorte dell’umanità, invece di alleviarla. La "macchina da guerra" montata dagli illuministi europei del Settecento per "schiacciare l’Infame" (cioè la Chiesa) è ora manovrata da molte forze, antiche e al contempo nuove. Tanto che, come mostrano certe inchieste recenti, sono i cristiani a essere oggi il gruppo umano più diffamato e, spesso, più perseguitato.
Come reagire? Secondo alcuni, soprattutto teologi, astenendosi proprio da ogni reazione, in quanto la verità non avrebbe bisogno di difesa e finirebbe con l’imporsi da sola. Anche da qui, per questi cattolici, il rifiuto di ogni "apologetica": l’abbandono cioè di un atteggiamento di spiegazione, chiarimento, confronto, arringa, che pure comincia con la Chiesa stessa. Forse pochi ricordano che la prima "Apologia" cristiana di cui abbiamo notizia risale all’anno 126 e fu presentata all’imperatore Adriano in visita ad Atene dal santo vescovo della città, Quadrato. Dai cenni che possediamo di quell’opera, sappiamo che in essa non solo si mostrava la ragionevolezza della fede in Gesù come Messia, ma si difendeva anche la comunità cristiana dalle accuse pagane ed ebraiche. Insomma, un vero e proprio trattato di apologetica, capostipite di quelli che sono arrivati sin quasi a noi, quando qualcuno ha cominciato a dubitare della validità di strumenti come questi, pur così consacrati dalla Tradizione più antica.
Comunque, lasciamo pur da parte ogni considerazione sullo slogan secondo il quale "la verità non ha bisogno di difesa", slogan che, tra l’altro, contraddice il Vangelo, pieno di botte e risposte tra il Cristo e i suoi antagonisti; e, ancor più, contraddice il resto del Nuovo Testamento, dagli Atti degli Apostoli alle Lettere di Paolo, dove i discepoli di Gesù si affaticano, tutti, in dispute con attacchi e difese. Convinti di possedere la verità, erano pure convinti che Dio stesso aveva voluto affidarla agli uomini perché ne annunciassero lo splendore e, se del caso, anche la difendessero da calunnie, fraintendimenti, equivoci.
Lasciamo, comunque, da parte e osserviamo, piuttosto, che oggi anche molti cattolici sono convinti che la "verità" sulla Chiesa e la sua storia sia proprio quella raccontata, anzi gridata con livore, dai suoi contestatori. Questi ultimi, dunque, non sarebbero calunniatori ma, al contrario, svolgerebbero un ruolo provvidenziale per ricordare ai cattolici le molte magagne, se non le infamie, di cui sarebbe pieno il loro passato e di cui dovrebbero di continuo chiedere scusa.
Per carità: non abbiamo alcuna intenzione di entrare qui nel merito di quelle accuse. È un lavoro di confronto con la storia e con i suoi documenti che, per quanto conta, già abbiamo fatto e che almeno stavolta non intendiamo riprendere. Qui, invece, vorremmo osservare che tanti sono coloro che fanno arcigni esami alla Chiesa per ciò che ha – o avrebbe fatto – di male. Ma praticamente nessuno si chiede mai quanto male la Chiesa abbia evitato. Non ci stancheremo di ripeterlo: il vero bilancio della comunità ecclesiale può farlo Dio solo; agli uomini sarà chiaro (forse) soltanto alla fine della storia, quando tutto sarà svelato.
Mi ha sempre commosso quanto si racconta di san Luigi, re di Francia, che guidò due crociate, finendo col lasciarvi la vita. Dirigendosi una volta verso la Terra Santa, la sua nave incappò in una terribile tempesta, tanto che i marinai lasciarono i comandi, rassegnati, giudicando che tutto era ormai perduto. Ma re Luigi gridò loro, nell’oscurità di quella terribile notte: "Resistete ancora un poco, perché tra non molto tutti i monaci della cristianità si alzeranno per cantare il mattutino e noi saremo salvi!". Non occorre esser santi, basta essere cristiani per capire che l’oceano di preghiera che in venti secoli di fede non ha mai smesso di salire al Cielo non può non avere avuto effetti misteriosi e al contempo decisivi per la storia dei singoli uomini e per quella di tutta l’umanità.
Visto che accennavamo a monaci: non è sbagliato, naturalmente, anzi risponde a una verità oggettiva, l’argomento "apologetico" secondo il quale la loro attività sarebbe stata benefica per la società. Bonifica di paludi, tecniche agrarie, salvataggio di antichi manoscritti, istituzione di scuole, incremento delle arti e così via: lungo sarebbe l’elenco dei benefici "materiali" portati da quei religiosi.
Ma questa loro attività non è che secondaria rispetto al beneficio vero, che gli uomini possono solo intuire ma non conoscere: l’opus Dei, il servizio divino, la preghiera di lode e di impetrazione che non ha mai smesso di risuonare nei monasteri, nelle abbazie, nei conventi. Che cosa ha ottenuto, che cosa ha evitato nei secoli la preghiera di tutti i "dannosi" cattolici, non soltanto quella dei consacrati? Che valore infinito, in ogni caso incalcolabile da noi, hanno avuto, e hanno, i miliardi di messe celebrate? Che cosa hanno rappresentato venti secoli di ascesi, di penitenze, di sacrifici offerti per amore di Dio? Bisogna essere chiari: non è lecito stilare alcun bilancio senza mettere in conto questa, che è la "voce" principale da segnare all’attivo. Ma, ancora: tra le accuse alla Chiesa, oggi, non manca quella che riguarda la confessione individuale, auricolare, segreta. Si parla di un dominio sulle coscienze, come se questo rappresentasse sempre e comunque un male.
Ma che dire di un "dominio" spirituale come questo che ha evitato una quantità di male che – lo ripetiamo ancora una volta – Dio solo conosce? Chi, tra gli uomini, è in grado di sapere quanti omicidi, suicidi, furti, disonestà di ogni tipo, adulteri, menzogne – e chi più ne ha più ne metta – sono stati sventati nella penombra del confessionale da un uomo, da un sacerdote, chiamato a essere strumento per ricordare la legge evangelica, per ammonire, per stornare dal peccato oltre che per assolvere da esso? Ma, oltre a questo, chi può calcolare la consolazione donata a infiniti cuori dalla pastorale cattolica, con i suoi sacramenti?
Facile condannare, nel passato della Chiesa, i gerarchi clericali ricchi e ambiziosi, i cardinali cinici con i loro strascichi di porpora. Ma per innumerevoli, oscure generazioni, in oscure campagne, quanto bene è stato fatto e ancor più quanto male è stato evitato da oscuri parroci, con il loro impegno quotidiano, poveri tra i poveri e al contempo ricchi di un messaggio che ha aiutato le moltitudini a vivere e a morire?
Esistono, e sono spesso voluminose e accurate, delle storie di quell’antica e straordinaria istituzione che è la parrocchia. Ma nessuna storia potrà mai dire che cos’abbia davvero significato questo "presidio" ininterrotto per secoli, capillare, della Chiesa tra la gente e per la gente, dagli ultimi nella scala umana sino ai grandi del mondo. Un significato enorme sul piano sociale: ma ancor più, anzi inestimabile, sul piano invisibile agli occhi degli uomini e noto soltanto al Padrone della messe. Insomma: in questo clima di rinnovata aggressione (pur spesso ammantata, almeno in Europa – e finché dura – da proclami di tolleranza di cui sospettare) continuiamo pure ad ascoltare e a vagliare le voci del mondo che di tante cose ci accusano. Ma non dimentichiamo mai che, a queste voci, spesso infondate, sfugge soprattutto quanto davvero importa sul gran libro dell’attivo e del passivo che sarà aperto e svelato quando sarà il momento del bilancio finale.

Vittorio Messori

Per secoli i monaci hanno tenuto vivo il servizio divino per eccellenza: la preghiera, i cui effetti sulla storia non sono sempre misurabili. La moderna polemica anticattolica ha spesso toni fortemente ideologici. Un nuovo e agguerrito filone "apologetico" anticattolico proviene dall’islam e dalla sua pretesa superiorità verso il cristianesimo.
© Jesus - Anno XXIV - N. 8 - agosto 2002

Ormai si estende in tutto il mondo la caccia ai cristiani

Ormai si estende in tutto il mondo la caccia ai cristiani
di Antonio Socci

Dall'America Latina ai Balcani, dall'Africa all’Asia, sacerdoti e suore Vengono uccisi da chi non ammette la tolleranza religiosa. La situazione più drammatica nel Sudan: dal 1965 gli islamici si accaniscono su chi crede nei Vangeli e non nel Corano.
A vedere i volti e le storie dei cristiani martirizzati nel corso del 2000 nel mondo, stupisce innanzitutto la normalità di questi uomini e donne. E la semplicità con cui - vivendo inermi in zone così pericolose - hanno messo in conto la possibilità di essere ammazzati, spesso selvaggiamente per la loro fede. Senza per questo sentirsi degli eroi, né cercare i riflettori. Danno se stessi all'insaputa del mondo intero. Una gratuità che riempie di meraviglia, che sembra un miracolo e forse lo è. Sono migliaia anche i missionari che vivono così, e spesso sono italiani: ne conosciamo tutti qualcuno e sappiamo che sono persone normalissime. Anzi, è gente concreta (talora medici, insegnanti, artigiani, ingegneri, semplici catechisti, suore), con i piedi piantati per terra. Non hanno la testa sulle nuvole ideologiche, infatti spesso tornano nelle nostre città per cercare soldi per le opere che mettono in piedi ospedali, acquedotti, orfanotrofi, scuole.
Non fanno tutto questo per vaga filantropia o per rappresentare «l'agenzia etica» del mondo. Una volta il giornalista, seguendo Madre Teresa mentre visitava uno dei suoi lazzaretti e abbracciava e baciava le poveri carni putrefatte di quei moribondi raccattati nella spazzatura, sbottò disgustato: «Io non bacerei uno così neanche per tutto loro del mondo». «Neanche io», gli rispose dolcemente la suora..
Sempre a Madre Teresa un giornalista televisivo, durante un’intervista, chiese: «Ma perché vi interessate di tutti questi poveracci, spesso sono ripugnanti...». «Per Gesù. Noi amiamo Gesù» gli rispose lei. «Ma come» riprese quello «non lo fate per compassione, per pietà?». «No, è per il Signore» spiega la suora «allora questa compassione diviene grande come l'ha avuta Lui, per noi, per tutti gli uomini…».
«Per Gesù» danno la vita e talora muoiono. Così ogni anno, a gennaio, stiliamo l'elenco dei martiri. In questi anni sono in aumento. E non sono inermi solo per l'incolumità personale, ma anche per l'impossibilità di difendersi da accuse e calunnie. Come disse il Papa durante la celebrazione al Colosseo, spesso i loro nomi restano sconosciuti perché «infangati» dai loro persecutori e «occultati» dai carnefici.
Una condizione di debolezza che è anche della Chiesa la quale spesso viene coperta di accuse e di insulti solo perché ricorda i suoi figli uccisi per la fede (è accaduto qualche mese fa per i martiri cinesi, ingiuriati dal regime di Pechino: la Santa Sede dovette quasi giustificarsi).
Se la Chiesa si azzarda ad accennare alla triste sorte dei cristiani nei regimi islamici, immediatamente si alza un coro scandalizzato di giornali e intellettuali che l’accusano di intolleranza e di razzismo. Così le vittime sono trattate da carnefici e viceversa. Ed è la normalità. Il massacro di cristiani non fa neanche notizia. Alle Molucche qualche mese fa è affondata una nave carica di 500 cristiani in fuga dalle violenze delle milizie musulmane. Quasi tutti morti. Ma non erano degni dell’attenzione dei giornali, dei politici e degli intellettuali italiani che nelle stesse settimane stavano tuonando contro il cardinal Biffi per aver egli parlato delle persecuzioni musulmane contro i cristiani.
In queste settimane l'agenzia missionaria Misna denuncia l’islamizzazione forzata delle Molucche. Oltre mille cristiani nelle isole di Keswi e Teor sono stati costretti a rinnegare la loro fede e ad abbracciare l'Islam: centinaia di uomini sono stati circoncisi a forza con rasoi e le donne sono state infibulate. Ieri l'agenzia Misna ha riferito il caso di una ragazza cristiana che è stata ammazzata essersi opposta a un matrimonio forzato con un musulmano (che implicava la «conversione»).
Ma nessuno ne farà un «caso Rushdie».
Perché i cristiani sono inermi e senza voce. E la Chiesa deve guardarsi dal dirlo per non essere accusata di vittimismo, sospettata di intolleranza o di voler fare crociate ideologiche. Una banale vulgata giornalistica - specialmente in questo Anno Santo - rappresenta la Chiesa come una potenza trionfante e addirittura opprimente.
É vero il contrario. Perfino le iniziative diplomatiche internazionali che sono state intraprese dal Santo Padre per il grande Giubileo del duemila, in difesa dei più sofferenti, dimenticati da tutti, come ha osservato ieri Pierluigi Battista sulla Stampa, alla fine sono state clamorosamente snobbate. Segno che all'omaggio formale da parte del governo e dei media corrisponde poi una sostanziale indifferenza, quando non un'aperta ostilità. Contrariamente alle apparenze, la Chiesa non è mai stata così debole e insignificante.
Anche l'iniziativa vaticana per la pace in Medio Oriente è destinata all'insuccesso. La Chiesa non riesce neanche ad aiutare i cristiani della Terra Santa che sempre più si sentono costretti a emigrare. «Noi cristiani, perché non abbiamo voce?», chiedeva ieri padre Giovanni Battistellì, responsabile della Custodia di Terrasanta in un'intervista alla Stampa (basta ricordare l'umiliante provocazione della moschea che si vuole costruire per forza a ridosso dei luoghi santi di Nazareth). Eppure la Chiesa e il Papa tendono la mano, suggeriscono dialogo, si prodigano per la pace dovunque e per l'aiuto a chiunque.
Tutto il secolo che si chiude ha visto la Chiesa inascoltata e sempre più minoritaria. É stato, come si sa, un secolo di orrendi genocidi: degli ebrei si è tentata addirittura l'eliminazione totale. In questo inferno si è consumato anche un grande martirio dei cristiani. Il Papa ha dichiarato che mai nella storia era stato sparso tanto sangue di cristiani per la loro fede. È una tragedia pressoché sconosciuta.
Comincia già nell'anno 1900 quando sulle missioni della Cina si abbatte una violenta persecuzione, con l'insurrezione dei "Boxers". L'editto dello luglio 1900, dell'imperatrice Tse-Hsi, contro i missionari provocò stragi di cristiani e in seguito persecuzioni. Martiri anche nelle Filippine e in Spagna nel 1904, a Valencia. Nel 1915 lo sterminio degli armeni, popolo cristiano inviso al regime turco, apre l'elenco orrendo dei genocidi del XX secolo: 2 milioni di persone macellate e 300mila esuli.
Nel 1924 una rivoluzione di anticlericali in Brasile determinò anch'essa persecuzioni e martiri.
In Messico una terribile persecuzione, con centinaia di martiri, durerà dalla Rivoluzione del 1911 fino agli anni '40. «In Spagna» ricorda l'agenzia Fides «la persecuzione della seconda Repubblica (1931-1939) provocò il maggior olocausto cristiano di sacerdoti e religiosi dai tempi dell'impero Romano, superiore per crudeltà e per vittime alla Rivoluzione francese: 13 vescovi, 4.184 sacerdoti del clero secolare, 2.365 religiosi, 283 religiose, per un totale di 6.832 persone consacrare, senza contare le migliaia di laici e laiche».
Poi naturalmente arriva la furia del nazismo e del comunismo e qui il lago di sangue diventa un oceano immenso. Come si legge nel terzo segreto di Fatima che è stato reso noto l'anno scorso. In Africa l'elenco dei martiri del XX secolo è lunghissimo. Ma forse il caso più terribile è quello del Sudan, dove la persecuzione islamica va avanti dal 1956 ed è tuttora in corso: 2 milioni di vittime, uomini, donne e bambini e «la stragrande maggioranza non sono ribelli, ma civili colpevoli solo di non pensarla come gli islamici del regime». Così scriveva il New York Times, chiedendosi «chissà perché nessuno si ricorda del Sudan», mentre «tutti i leader mondiali celebrano con grande solennità la dichiarazione dei diritti dell'uomo».
Nonostante tutto questo la Chiesa non fa del vittimismo, né rivendica ragioni polemiche. Anzi, il gesto più clamoroso di questo Giubileo diceva il contrario: il Papa si è messo in ginocchio chiedendo perdono (unilaterale) per le colpe di tutti i cristiani che hanno commesso crimini o sono stati complici. Perché era giusto. Ma anche per dire che «a nulla fuorché a Gesù il cristiano è attaccato». La Chiesa è sembrata inerme, ancora una volta, e ha commosso. Ma forse proprio nella sua debolezza emerge la sua forza.
© Il Giornale, 03 gennaio 2001

Fonte: http://www.kattoliko.it/leggendanera/persecuzioni.htm (24.4.2005)